Poliziotti gay a confronto

A Barcellona conferenza dei gay in divisa. Per l'Italia c'era la piccola ma agguerrita associazione "Polis Aperta". «Mettere la nostra faccia in Italia vuol dire perdere il lavoro», confessano.

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Ma chi l’ha detto che la polizia ce l’ha coi gay. Anzi, se siete fortunati, magari ne incontrate anche qualcuno in divisa. Che si fa riconoscere apertamente. E che forse era a Barcellona per la IV Conferenza europea della polizia gay e lesbica. Dopo Amsterdam, Londra e Stoccolma, è stata quindi la volta della Spagna, paese in cui fino al 1978 l’omosessualità è stata un grave reato e veniva perseguitata con durezza dalla polizia franchista – ad ospitare dal 2 al 4 luglio duecento poliziotti e poliziotte provenienti da 14 paesi di tutta Europa. 

Non in tutti i paesi va allo stesso modo: in alcuni, come l’Olanda, l’Inghilterra, la Scozia, la Germania, o la Svezia la cultura della diversità è stata assimilata da tempo anche dalle forze dell’ordine. E le polizie puntano sull’immagine positiva di una polizia tollerante verso l’interno e verso l’esterno.

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Per dire, nessuno si scandalizza se la polizia inglese promuove una campagna contro la violenza omofoba con la foto-shock di una bibbia insanguinata. O se la polizia tedesca paga per produrre un depliant, che sotto la domanda "Vedi la differenza?" mette un cast di poliziotti sorridenti niente male. O infine se nella (ex?) cattolica Spagna ad aprire i lavori della conferenza, oltre alle autorità politiche della Generalitat della Catalogna (il governo della regione autonomica) sia stato invitato Fernando Grande-Marlaska, giudice istruttore della Audiencia Nacional, il tribunale superiore spagnolo di giurisdizione nazionale, che da due anni ha reso pubblica la propria omosessualità. E che nel suo discorso ha sottolineato che la legge spagnola è più avanzata nei diritti degli omosessuali rispetto alla realtà sociale, ma che tuttora esistono «molti silenzi, molte discriminazioni e molto che viene ancora messo in discussione». 

Come antidoto contro la violenza maschilista basterebbero alcune scene: la tenerezza del poliziotto inglese addormentato sulla spalla di un collega durante una pausa dei lavori, o l’affetto delle due poliziotte catalane che si tenevano per mano.

«Ogni due anni ci riuniamo per analizzare e condividere delle buone pratiche che ci aiutino a lottare contro l’omofobia, sia all’interno della polizia che nel lavoro che facciamo», spiega Víctor Argelaguet, il poliziotto della Guàrdia Urbana di Barcellona che due anni fa con grande coraggio, ispirandosi agli esempi di altri paesi, ha fondato Gaylespol, l’associazione di poliziotte e poliziotti omosessuali in Spagna.

Fra i temi della conferenza che Víctor e i suoi colleghi hanno organizzato quest’anno ci sono la religione, la fede e i delitti di odio; la doppia discriminazione delle poliziotte lesbiche, in quanto donne e in quanto omosessuali (con tanto di campagna a fumetti contro i commenti ammiccanti dei colleghi maschi); la repressione durante il franchismo; i delitti di odio e discriminazione (che la polizia è obbligata a segnalare alla procura generale); le aggressioni ai giovani omosessuali nei centri educativi della polizia (ancora succede, purtroppo); il lavoro in polizia se si è affetti da Hiv.

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C’era anche la piccola ma agguerrita italiana Polis Aperta, punto di riferimento dei gay e delle lesbiche in divisa (poliziotti, carabinieri, esercito). «Mettere la nostra faccia in Italia vuol dire perdere il lavoro», si scusano per giustificare la richiesta di anonimato. Nessuno di loro è dichiarato sul lavoro. All’inizio erano solo una rete di persone che si davano una mano per le situazioni difficili, come quando si viene denunciati come gay da qualche anonimo collega. Poi però nel 2005 è nata l’associazione vera e propria.  La strada da fare è tutta in salita. «Il primo passo certamente è quello di far recepire al governo la normativa europea sulla discriminazione sui luoghi di lavoro» – spiegano. «Poi i regolamenti dovrebbero cambiare: in teoria oggi se sei gay non ti possono arruolare, perché l’omosessualità è ancora considerata una malattia mentale. Ma naturalmente manca soprattutto molta, moltissima formazione e informazione». La cultura del rispetto delle diversità infatti non fa bene solo ai lavoratori discriminati, ma a tutta la società. «Il nostro compito – spiega L., poliziotto nordestino – è quello di rispettare tutti, perché abbiamo giurato di servire la repubblica e la Costituzione. E la Costituzione è fondata sull’uguaglianza. Ognuno di noi, gay o etero, deve avere questo come primo pensiero: noi siamo al servizio di tutti i cittadini. Non ti posso trattare meglio o peggio solo perché sei diverso da me».

 

di Luca Tancredi Barone

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