Maurizio e Michele stanno insieme da diciotto anni e dieci giorni fa si sono sposati in Portogallo. Tutto è filato liscio fino al loro ritorno in Italia: la filiale Intesa San Paolo di Mestre per cui Maurizio lavora non gli concede la licenza matrimoniale: qui quell’atto non ha validità, spiega l’azienda.
Ha inizio la battaglia legale: “Vogliamo portare alla luce questa situazione perché anche aziende conservatrici, come possono essere le banche, riconoscano ai dipendenti i loro diritti – annuncia il sindacato – È un matrimonio riconosciuto da un Paese della Comunità Europea, dunque anche la nostra legislazione ne dovrà tenere conto in questo caso”.
Ma facciamo un passo indietro. Tutto ha avuto inizio un anno fa quando Maurizio Sammito, con largo anticipo, ha fatto richiesta per 15 giorni di congedo matrimoniale. Richiesta respinta dalla filiale.
A quel punto è intervenuto il sindacato del settore del credito Unisin-Consal ma anche la sua richiesta formale è caduta nel vuoto. Ma al diniego il sindacato non cede: “In questi giorni abbiamo presentato una diffida e siamo pronti a presentare la causa davanti al giudice del lavoro – spiega il segretario regionale Luca Pinton – La richiesta di Maurizio e la nostra, oltre che a basarsi sul buon senso che dovrebbe essere adottato anche in Italia (trattasi comunque di matrimonio, indipendentemente dal sesso di coloro i quali intendono contrarlo), è supportata da due fattori. Il primo, che il matrimonio è stato riconosciuto in un paese della Comunità Europea, e che la licenza matrimoniale non è espressamente vietata dalla nostra legislazione in caso di coppie omosessuali. Il secondo è che altre aziende importanti come Ikea o l’università di Bologna non hanno avuto problemi a concederla”.
Dall’altra parte Intesa San Paolo ci tiene a far sapere che non c’è nessun intento discriminatoria. Ma al momento, sguazzando nel vuoto normativo, si defila dall’onere.
La battaglia legale è solo all’inizio.
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