Ce n’eravamo già accorti al Festival di Locarno, con i premiati Call Me Marianna e Der Staat gegen Fritz Bauer: la tendenza dominante del cinema queer contemporaneo è trans, o meglio intergender.
Sarà che finalmente i media – soprattutto americani – hanno restituito dignità sociale alla minoranza più umiliata e ghettizzata della comunità lgbt grazie a ‘eroi(ne)’ da cover come Caitlyn Jenner (anche glam: nell’approfondito servizio di Vanity Fair si fa fotografare elegantissima in rosso fuoco nella sua Porsche nera). Sarà che ammalianti serie tv da addiction compulsiva quali l’innovativo Transparent e la ribelle Orange Is The New Black sono riuscite ad arrivare a un pubblico generalista, incuriosito da prodotti godibili lucidati da quella patina di maledettismo rassegnato con cui sono stati quasi sempre rappresentati i transessuali (lo sdoganamento al cinema è iniziato, lentamente, dieci anni fa con l’intelligente Transamerica arrivato agli Oscar). Sarà che la più bella sorpresa al Sundance è stata una commedia indie girata con centomila dollari e tre iPhone5S, Tangerine di Sean Baker, in grado di far ridere senza deridere le due strepitose prostitute transessuali protagoniste, interpretate dalle vere trans Kitana ‘Kiki’ Rodriguez e Mya Taylor. Uscito un mese e mezzo fa negli USA, ha titillato la critica, unanimemente entusiasta, incassando ad oggi più di un sestuplo del suo costo effettivo.
Sta di fatto che anche alla 72esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (2-12 settembre) diretta da Alberto Barbera, tra i sette titoli in concorso per il nono Queer Lion, due sono trans, anzi, si spingono ancora più in là, nella zona iperfluida dell’intergender, a riprova che il concetto d’identità sessuale non è mai stato così mutevole e inclassificabile (il professor Lorenzo Bernini dell’Università di Verona, coordinatore del centro di ricerca Politiche e teorie della sessualità, parla di “sessi innumerevoli”).
Vi abbiamo già parlato di entrambi i film: è attesissima la camaleontica prova del fresco premio Oscar Eddie Redmayne nel biografico The Danish Girl di Tom Hooper, inserito nella competizione ufficiale. Sapremo tutto sulla prima trans operata della Storia, Einar Wegener rinato Lili Elbe, pittore/pittrice danese la cui natura intergender gli fu rivelata posando da modella per la moglie Gerda. Fu operato nel 1930 in una clinica di Dresda, assistito dal sessuologo Magnus Hirschfeld, pioniere in questo campo, che gli scovò anche un paio di ovaie atrofizzate.
È invece una storia tutta italiana quella raccontata da Arianna, esordio di Carlo Lavagna, regista trentenne che si definisce “eterosessuale fluido”. Presentato alle Giornate degli Autori, fa luce su una diciannovenne (Ondina Quadri, nipote del montatore Iacopo Quadri) che scopre durante una vacanza estiva sul lago di Bolsena di essere un intersex operato. “Un film che s’interroga sul rapporto tra potere e anormalità, sulle conseguenze del loro conflitto” come lo definisce lo stesso Lavagna.
Insomma, un’onda trans (anzi, un’Ondina?) inedita nella produzione lgbt internazionale. “Un terreno relativamente nuovo ed inesplorato per il cinema mainstream – ci conferma Daniel Casagrande, organizzatore del Queer Lion – come in passato lo sono state le tematiche gay e lesbiche. Per questo è un campo tutto da scoprire, indagare, raccontare. Un altro tema poco esplorato è il cinema che focalizza la sua attenzione sulla scoperta e l’autodeterminazione della propria identità di genere. Arianna va in questa direzione, come Pelo malo e Tomboy prima di lei”.
“Abbiamo festeggiato i dieci anni di Brokeback Mountain – continua Casagrande – con un caldo (in tutti i sensi) ed assolato set fotografico sulle rive del Lago di Santa Croce: l’immagine della nostra copertina di quest’anno è un omaggio a tutti i cowboy gay del mondo dell’arte, da Tom of Finland a Bob Mizer, da Andy Warhol a Gus Van Sant ad Ang Lee. I complimenti di Joe Dallesandro al nostro fotografo Marco Visca sono il regalo più bello”.
Il trailer di quest’anno è realizzato da Fabio Carpene e omaggia gli studi cinematografici della Scalera Film nell’isola della Giudecca. “Un ricordo indelebile nella memoria di ogni buon veneziano per le aspettative e le speranze che aveva creato in città – ci spiega Casagrande -. Un’esperienza durata poco meno di dieci anni, un Cinevillaggio simile a Cinecittà ma strutturato come i grandi studios americani, fallito definitivamente con la produzione dell’Otello di Orson Welles, film che farà da preapertura alla Mostra del Cinema di quest’anno”.
Gli altri film in competizione per il Leoncino rainbow (a proposito di rainbow: non dimenticatevi di aderire alla nostra campagna #RainbowVenice contro gli strali omofobi del sindaco Brugnaro! ) sono diversificati per tema e provenienza: in concorso troviamo l’opera prima venezuelana Desde allà di Lorenzo Vigas sullo strano incontro tra un protesista dentario e un anziano signore; l’americano Spotlight di Thomas McCarthy sullo scandalo dei preti pedofili smascherati dal Boston Globe nel 2001; il documentario Janis di Amy Berg sulla cantante Janis Joplin; il dramma spagnolo-messicano La calle de la amargura di Arturo Ripstein, tratto da una storia vera, su due anziane prostitute, una delle quali ha un marito appassionato di travestitismo, coinvolte nell’omicidio di due lottatori nani (!); il misterioso e notturno franco-israeliano Lama Avaztani (Perché mi hai abbandonato?) di Hadar Morag sull’incontro tra un ragazzo sbandato e un centauro affilatore di coltelli, solitario ed enigmatico.
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