Le premesse sono quelle del celeberrimo film Philadelphia con Tom Hanks e Denzel Washington, ma l’epilogo non è altrettanto positivo. Un cassiere 35enne di un piccolo supermercato a conduzione familiare della Marca, omosessuale e sieropositivo, è stato licenziato in tronco più di un anno fa, senza apparente motivo.
I titolari del supermercato non avevano mai nascosto il loro disappunto circa l’orientamento sessuale dell’uomo, con frequenti battute di cattivo gusto; nulla di così grave, fino al licenziamento motivato da “ragioni economiche”: il market sarebbe entrato in una crisi nera, per la quale non era più possibile mantenere un dipendente esterno. Peccato che pochi giorni dopo venne assunta un’altra persona: è a questo punto che l’uomo si è rivolto all’ufficio vertenze della Cgil locale per ottenere giustizia. “Le motivazioni economiche erano chiaramente infondate”, afferma Fabio Zamperla, responsabile dell’ufficio in questione. “L’uomo però ha deciso di non proseguire con la causa e di rinunciare: andare in giudizio avrebbe significato rendere nota la sua condizione alla famiglia, attualmente all’oscuro di tutto”.
Il caso è stato portato alla luce nell’ambito dell’incontro “Lavoro e omosessualità”, organizzato in collaborazione con il Coordinamento Lgbte Treviso e “Rete Lenford – Avvocatura per i Diritti Lgbt” il 7 maggio nell’Auditorium Cgil. Ad oggi sono oltre 150 i casi di discriminazione sul luogo di lavoro di persone appartenenti alla comunità LGBT a livello nazionale: “C’è ancora chiusura e riservatezza rispetto a questi temi, non è facile chiedere aiuto a un sindacato. Inoltre si tratta di discriminazioni non facili da dimostrare, c’è un problema per quanto riguarda l’ordine della prova: le più facili sono quelle testimoniali, ma non sempre i colleghi accettano di rendere la loro testimonianza contro il proprio titolare, col rischio implicito di perdere il lavoro“, commenta Zamperla. Come sottolineato da Giacomo Vendrame, segretario provinciale della Cgil, a volte è delicato far comprendere la gravità di tali situazioni alle stesse vittime. “Negli anni scorsi era più semplice impugnare un licenziamento illegittimo in base ad altri profili. Ora, con il Jobs Act, questo non è sempre possibile, e torna ad essere centrale la tutela dalla discriminazione“.
La maggior parte delle volte queste persone interiorizzano e somatizzano il problema nato sul luogo di lavoro, fino a che questo si trasforma in un vero e proprio disturbo psicologico: “Queste persone subiscono mobbing e isolamento una volta dichiarato il proprio orientamento sessuale”, afferma la psicologa Alberta Xodo. “Spesso sviluppano attacchi di panico: in particolare negli ambienti di lavoro a contatto con i bambini, nasce quello che noi definiamo l'”effetto alone“, che porta l’individuo a isolarsi completamente dagli altri e a non parlare con nessuno del problema”. In basso un servizio del Treviso Tg sulla conferenza e sul caso.
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Non ci credo. Uno schifo indegno.