Una famiglia che non riusciva a sostenere il suo disagio, una madre senza forze e un padre violento. Per questi motivi il Tribunale dei Minori di Catania lo aveva assegnato a una comunità per "recuperarlo". Paolo, questo il nome all’anagrafe, aveva 16 anni e sognava una vita da donna col nome di Loredana. Lei, rinchiusa in quel centro per forza non ce l’ha fatta a sostenere la pressione psicologica dovuta al "convivere" con i coetanei che in quel centro erano chiusi per tutt’altri motivi. 35 nordarficani, clandestini provenienti dalla Tunisia, dal Marocco e dall’Algeria, paesi integralisti dove la condanna dell’omosessualità arriva alla pena di morte. Loredana si è impiccata col suo foulard.
«Era la prima volta che ospitavamo in un centro per maschi, una "ragazza" e per lei avevamo allestito – dice Linda Lumia, assistente sociale di quel centro – una stanzetta singola. Aveva in qualche modo la sua privacy, utilizzava il bagno delle donne per le operatrici del centro, mangiava con noi. Era anche contenta perché aspettava con ansia l’inizio del corso professionale per parrucchiera, ma l’altro giorno ha deciso di farla finita». Evidentemente quella privacy non era sufficiente.
Adesso la Procura di Agrigento ha aperto un’indagine per accertare eventuali responsabilità di altri. Si vuole sapere anche come e perché un ragazzo, di fatto donna, sia finita in quel centro popolato da soli uomini e non in un’altra struttura più adeguata.
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