Gay Pride, quanti errori cara Arcigay

Genova, ottima scelta. Ma il metodo non va: troviamo occasione per litigare, per dividerci, per continuare a commettere gli errori di sempre. Ancora un volta.

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Genova è una città splendida per tenervi un Gay Pride.

È una città molto inglese, molto perbenista e provinciale – lo sa bene chi, come me, vi ha vissuto la propria adolescenza da gay -, con una vita gay molto poco sviluppata ed una classe politica che sui nostri temi non ha mai brillato in coraggio. È anche la città che ai vertici della sua Curia ha avuto il cuore della sua corrente più tradizionalista, da quel Cardinale Siri che iniziò la sua carriera nel 1946 aiutando molti nazisti a fuggire dall’Europa e la terminò dichiarando che l’AIDS era una punizione divina per i peccatori, all’attuale Cardinale Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che solo l’anno scorso accostava serenamente omosessualità ad incesto e pedofilia.

Genova ha quindi tutte le carte in regola per essere sede di una bella, ampia manifestazione del Gay Pride.

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Quello che quindi non mi convince dell’annuncio dato ieri a sorpresa dal presidente della principale – ma non unica – associazione gay nazionale, Aurelio Mancuso, presidente di Arcigay, non è certo questo. È il metodo ed il merito che mi lasciano atterriti.

Primo. Che senso ha che il momento principale di visibilità del movimento lgbt italiano sia annunciato da una sola delle sue componenti, per quanto questa sia la principale? Come si può invocare una serenità di rapporti nel movimento gay, come spesso fa Arcigay con una punta di finta innocenza, quando una decisione così cruciale viene presa unilateralmente, per di più neppure dal principale organo politico dell’associazione, e cioè dal Consiglio Nazionale, ma da una riunione della sua Segreteria?

ci troviamo senza aver ottenuto niente dai governi precedenti, con un movimento lgbt sempre più isolato politicamenteSecondo. Con una decisione così unilaterale, è chiaro quali saranno le conseguenze: come già l’anno scorso avremo un Gay Pride romano più antagonista e radicale che sarà in concorrenza, togliendo inevitabilmente visibilità mediatica, al Gay Pride di Arcigay – più riformista e moderato -, con le tristi conseguenze già viste a Bologna.

Terzo. Che senso ha continuare a fare il Gay Pride Nazionale in una città diversa da quella dove si prendono le decisioni fondamentali dal punto di vista delle tematiche lgbt, e cioè Roma? La verità – spiace dirlo – è una sola: nella capitale Arcigay ha una (sana) concorrenza, mentre in altre città (come Bologna e Genova) la fa da padrone, senza timore di grattacapi locali. Ma non è esattamente questo l’interesse della comunità lgbt italiana, bussola che invece dovrebbe invece guidare l’attività politica quotidiana della principale associazione gay nazionale.

Quarto. Se annuncio proprio doveva essere fatto, perché non annunciare una cosa molto più accettabile e comunque capace di diventare notizia, che cioè accanto al Gay Pride romano ed a quello milanese, Arcigay si sarebbe impegnata per una forte riuscita di un Pride genovese, in linea con la tradizione di creare forti momenti di visibilità delle nostre tematiche in giro per l’Italia, nazione delle mille città e dei mille paesi.

Ho difficoltà quindi a comprendere il senso della decisione dei vertici di Arcigay Nazionale di lanciare questo Gay Pride nazionale a Genova.

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La situazione è già davvero così difficile per tutti noi: ci troviamo senza aver ottenuto niente dai governi precedenti, con un movimento lgbt sempre più isolato politicamente, che avrebbe ogni giorno di più bisogno di vero rinnovamento nelle sue politiche e nelle sue modalità di metterle in atto e in cui il cambio radicale dello scenario politico italiano non ha portato un conseguente ricambio dei suoi vertici, come era invece necessario. Nonostante tutto questo, troviamo occasione per litigare, per dividerci, per continuare a commettere gli errori di sempre.

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Perché ad esempio non costruire tutti insieme, nessuno escluso – associazioni grandi e piccole, radicali e riformiste, imprese lgbt e singoli finanziatori sparsi per l’Italia – una fondazione che, all’americana, abbia il solo compito di organizzare il Gay Pride Nazionale a Roma, con una piattaforma politica sotto la quale riusciamo a riconoscerci tutti e dalla quale poi ciascuno parte per dire la sua? No. Gli esercizi di pensiero laterale non ci sono mai riusciti: perché ciascuno di noi dovrebbe cedere un pezzo del suo orticello?

Non è ancora tempo, purtroppo. Evidentemente abbiamo bisogno ancora di altri fallimenti:  spiace dirlo, ma è così.

Alessio De Giorgi
Direttore di Gay.it

 

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