James Ivory: “Mi manca la dolcezza del mio Ismail”

Il celebre regista californiano del cult "Maurice", premiato al Togay, ci parla della sua idea di cinema e del suo rapporto con lo storico compagno e produttore Ismail Merchant mancato nel 2005.

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James Ivory assomiglia a uno di quei gentleman compassati e distanti che affollano il suo cinema raffinato e curato nei dettagli. E non si direbbe che non è affatto inglese, bensì californiano, visto quell’aplomb tipico del suddito intellettuale di Sua Maestà che cela abilmente la sua nazionalità americana. Porta splendidamente i suoi ottantuno anni e non ama affatto parlare della sua vita privata: sfidando la sua laconicità, facciamo fatica a farci raccontare qualcosa della sua grande storia d’amore con l’indiano Ismail Merchant che è stato anche il suo produttore storico ed è mancato nel 2005. 

Quando al festival Glbt di Torino “Da Sodoma a Hollywood” hanno ideato il nuovo premio alla carriera “Dorian Gray”, il direttore Giovanni Minerba e il suo staff hanno immediatamente pensato a James Ivory. Al Togay ha anche presentato il suo ultimo film, ancora senza distribuzione italiana, “The City of Your Final Destination” tratto dal romanzo “Quella sera dorata” di Peter Cameron dove ritroviamo proprio lui, uno dei suoi attori feticcio, Anthony Hopkins in versione omosex, che è però inglese doc, e persino baronetto. 

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Lei è dichiaratamente gay. Il fatto di non avere nascosto il suo orientamento sessuale le ha mai creato problemi a livello professionale?No, non è mai successo. Tutti lo sapevano e ciò non ha mai influito negativamente nel mio lavoro.

Nel suo film “The City of your Final Destination” il personaggio di Anthony Hopkins, Adam, vive una lunga e appassionata storia d’amore interrazziale con un giapponese molto più giovane, Pete, interpretato da Hiroyuki Sanada. C’è qualcosa di autobiografico che rimanda alla sua storia personale?No.

Adam dice che “non è facile definire le relazioni umane”. Come definirebbe il suo rapporto con Ismail Merchant?
È stato il mio compagno di vita.

Il ricordo più bello che ha di lui?
La sua estrema dolcezza.

Dove vi eravate conosciuti?
Stavo mostrando a New York un documentario su alcune miniature indiane. Avevamo un amico in comune che ci ha presentato.

Quando potremo ascoltare il memorial concert che ha realizzato per Ismail?L’abbiamo fatto anni fa, uno è stato composto a Londra e un altro a New York. È stato registrato in dvd e dovrebbe essere distribuito prossimamente.

Com’è stato separarsi da lui?
È mancato da cinque anni ed è molto dura. Mi manca non solo sentimentalmente ma anche professionalmente: era il mio produttore e ora faccio fatica a realizzare film.

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“The City of Your Final Destination” è il primo che giro senza di lui.
Come ha scoperto il romanzo di Peter Cameron?
Avevo letto alcune recensioni sul New York Times, stavo preparando un altro film. La mia sceneggiatrice Ruth (Prawer Jhabvala, n.d.r.) mi ha segnalato questo romanzo. Un amico me l’ha poi fatto leggere mettendomi una copia in tasca. 

Che cosa l’ha conquistata del libro per decidere di farne un film?
Ciò che mi è piaciuto di più è stato il confronto tra i personaggi, di un’intelligenza e una finezza molto intensi nella costruzione.

Lei ha realizzato nel 1987 un cult gay che ha fatto sognare intere generazioni di omosessuali, “Maurice”. È stato una sorta di spartiacque nella cinematografia queer: prima l’omosessualità era vista come un dramma ma finalmente poteva essere vissuta in maniera positiva. Che riscontri ha avuto personalmente della reazione del pubblico a questo film?
Molte persone mi hanno scritto tantissime lettere in cui dicevano che questo film ha cambiato la loro vita. Ancora oggi, a distanza di più di vent’anni, ne ricevo ancora.

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E le lesbiche come hanno reagito al controverso personaggio lesbico interpretato da Vanessa Redgrave ne “I bostoniani”?
Il personaggio di Olive non è stato accettato dalla comunità lesbica internazionale, anzi, è stato molto contestato soprattutto dalle femministe. Mi ricordo che una volta, in un ascensore a New York, ho assistito a una curiosa conversazione. Un gruppo di ragazze lesbiche non sapevano chi io fossi e commentavano negativamente il fatto che nel mio film una lesbica andasse con un uomo. Ma una di loro disse che essendo Christopher Reeve si poteva fare un’eccezione!

Uno dei suoi film più amati rimane “Camera con vista”…
C’è una connessione molto stretta tra “Camera con vista” e “Maurice”, sono due lati della stessa medaglia anche se non ci sono tracce di omosessualità in Camera con vista. In realtà i personaggi dei due film rappresentano la gioventù che non riesce a esprimersi socialmente. In entrambi c’è un happy ending perché i protagonisti riescono alla fine ad accettare la realtà.

Quali sono le sue sensazioni nel ricevere il premio Dorian Gray alla carriera?
Sono molto emozionato e riconoscente per questo. Mi trovo molto bene qui al festival.

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Era già stato a Torino? 
È la prima città italiana dove sono stato, all’età di ventuno anni, prima di andare a Venezia. Mi ricordo che sul treno ci fu pure un disguido per uno scambio di passaporti con un signore di Bologna con cui andai poi a pranzo insieme alla sua famiglia. Mi ricordo cibo e vini eccezionali. Ci sono tornato poi altre volte, invitato dal Museo del Cinema.

Nei titoli di testa di “The City of Your Final Destination” si vedono inquadrature di Venezia appartenenti a un suo vecchio documentario, “Venice: themes and variations” del 1957…Non è stato facile utilizzarle perché i negativi del film girati in 16mm erano andati persi. È stato restaurato due anni fa ma le immagini si sono un po’ sgranate e virate in grigio.

Come mai sovente utilizza gli stessi attori?
Mi piace ‘riciclarli’ quando mi trovo bene con loro, come nel caso di Emma Thompson e Anthony Hopkins. Se tornano a lavorare con me vuol dire che anche loro si sono trovati bene!

Qual è il suo film a cui è più legato?
"Mr & Mrs Bridge", è il mio lavoro più personale.

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