Poliziotta, lesbica: “Io discriminata dai miei capi”

Luana Zanaga, costretta al comig out da una vicenda personale, denuncia le discriminazioni che subisce dai suoi superiori. "Sono stata costretta a colloqui con un medico e mandata in altro reparto".

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Non aveva sentito la necessità di un coming out fino a quella sera in cui la sua compagna tentò il suicidio. Lei, Luana Zanaga, poliziotta, era in servizio quando un sms della ragazza l’avvisa che voleva farla finita. Corre a casa Luana, e la trova riversa sul tavolo. Chiama il 118 e i suoi colleghi poliziotti. Inevitabilmente parte l’inchiesta della polizia per verificare quello che era davvero successo. E contemporaneamente le chiacchiere e le indiscrezioni.
"In quell’occasione, durante un colloquio con il capo della squadra mobile che dirigeva le indagini, ho sentito di dover dichiarare che, sì, lei era la mia ragazza e io sono lesbica".
Da allora la vita lavorativa, e non solo, di Luana, sono cambiate.
"Ho visto cosa significano le discriminazioni all’interno della Polizia di Stato. Ho visto anche altri colleghi, gay, discriminati per il loro orientamento sessuale, ma non dagli altri agenti. Sono i superiori che cominciano a trattarti diversamente".
Nel 2004 Luana era stata trasferita da Milano a Padova e lavorava in pattuglia nelle volanti, un lavoro che le piaceva molto. Ma dopo il coming out forzato si ritrova, da un giorno all’altro ad essere trasferita alla sala operativa, senza una motivazione relae che non fosse una questione di organico.

"Ero a Roma a fare un concorso per funzionari quando mi chiama il mio capo pattuglia e mi dice ‘Domani non venire alle macchine, perché non sei più in pattuglia. Vai in sala operativa’. Sono rimasta senza parole".

Sulla denuncia di discriminazioni subite da Luana Zanaga, non sono pochi ad avanzare delle perplessità. A partire dal segretario regionale del veneto del Siulp Silvano Filippi. "Ho lavorato con colleghi la cui omosessualità era acclarata. Li ho incontrati, io come altri, con i rispettivi compagni anche mentre facevano la spesa o erano a passeggio – ha scritto Filippi in una lettera -. Hanno mansioni delicate e responsabilità rilevanti. Tutti sanno. Anche i superiori. E mai nessuno si è sognato di penalizzarli o mettere in discussione la loro professionalità a cagione della loro vita privata. (…) Per altro verso, se, e ripeto se, gli argomenti addotti a supporto della denuncia possono essere sintetizzati nelle insoddisfatte aspirazioni professionali, in mancanza di altro direi che le sue polveri sono un po’ troppo bagnate. La quasi totalità dei colleghi vorrebbe lavorare alla Squadra Mobile o alla Digos. Ma i posti sono pochi. E la più parte del personale è costretto, suo malgrado, a svolgere servizi in uno pesanti e poco gratificanti".

"Io non ho mai chiesto né di andare alla Squadra Mobile, né tanto meno alla Digos – risponde Luana -. certo, sono posti appetibili per chi ama l’investigazione. Ma io voglio solo tornare alle volanti. Per di più, quando sono stata trasferita alla sala operativa, quell’organico era in sovrannumero, il che rende tutto più paradossale. E nonostante quello che dice il Siulp, io al sindacato ho chiesto aiuto, per la precisione al Silp (il Sindacato Italiano Lavoratori Polizia della Cgil, ndr), ma nessuno ha alzato un dito. Ho cercato aiuto anche al Ciosp (Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia, ndr), ma è stato inutile. Sono solo tutti bravi a prendersi i soldi della tessera annuale".

Ma sul lavoro, la frustrazione più grande Luana ha dovuto subirla quando è stata costretta a delle visite quindicinali con il medico della Polizia di Stato che doveva valutarne la sanità mentale.
"Io ho molta stima per il dottore, ma è un patologo, non uno psivologo né uno psichiatra. Non è certo specializzato in perizie psichiatriche o in diagnosi sulla stabilità o meno della personalità e dell’equilibrio di un’agente. Ripeto, è un patologo".

Naturalmente, il fatto che la notizia del tentato suicidio della sua compagna sia apparso sui giornali ha fatto sì che anche fuori dall’ambiente di lavoro si sapesse dell’omosessualità di Luana che, nel tempo libero, allena una sqyadra di calcio femminile.
"La società, con un sms mandatomi sabato notte, mi ha sollevata dall’incarico perché, sostiene, ha assicurato alle famiglie delle ragazze che la squadra è pulita e una lesbica non è la figura adatta."

Le ragazze si sono riunite, hanno chiesto a gran voce che la loro allenatrice venga richiamata e lei, domani, sarà in campo con loro.
"Oggi il presidente è dovuto tornare sui suoi passi ai microfoni di RaiNews24 e io domani sono con le mie ragazze. Se la società ha qualcosa da dire, lo faccia in forma scritta."

Luana Zanaga fa parte del direttivo della neonata associazione Polis Aperta che sta eleggendo i propri organismi e lavorando a un disegno di legge contro  l’omofobia.
"Al momento sulla mia vicenda si sono mobilitate GayLib e Arcigay. Domani Alessandro Zan, segretario regionale di Arcigay, sarà a colloquio con il questore. Io, intanto, continuo la mia battaglia".

di Caterina Coppola

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