ROMA – Chi abbia appreso ieri dai telegiornali Rai la notizia del giovane 16enne che, a Torino, si è tolto la vita in quanto emarginato a preso in giro dai compagni di scuola, avrà fatto fatica a comprendere i reali retroscena di quel dramma. Mentre tutte le agenzie e siti on-line e tutti gli altri telegiornali (quelli Mediaset, La7 e Sky TG24) facevano chiaramente riferimento al fatto che il giovane si era suicidato in quanto tacciato dai coetanei di essere gay nel servizio trasmesso dai tre tg della Rai si faceva un gran parlare di quanto fosse bravo a scuola. Il più bravo della classe. Lo deridevano e lo prendevano in giro al punto da spingerlo al suicidio solo perché andava troppo bene a scuola? Le dichiarazioni della madre, che raccontava di come lo chiamassero Jonathan, il gay del “Grande Fratello”, e di quanto si sentisse solo e non integrato, sono state tagliuzzate e montate in modo tale che tutta la problematica del bullismo legata alla vera o presunta omosessualità del ragazzo fosse opportunamente rimossa.
«Siamo indignati per la reticenza sul bullismo anti-gay in cui i telegiornali Rai si sono espressi oggi nel trattare il caso del sedicenne di Torino suicidatosi perché i compagni di scuola lo deridevano dicendo che era gay ed effeminato» commenta amareggiato il Presidente nazionale di Arcigay, Sergio Lo Giudice. «Anche di fronte ad un caso così eclatante in cui la mamma trova il coraggio e la forza di parlare apertamente e raccontare le confidenze del figlio, quello che emerge dai servizi giornalistici dei tg della televisione pubblica è che il povero studente era vessato dai compagni di classe perché era il più bravo e che forse per questo (sic!) gli dicevano che era gay. Quali acrobazie per negare che ci sono ragazzi effeminati o che vengono percepiti come omosessuali, e che per questo, non per altro, vengono perseguitati e tormentati tra i banchi di scuola, spesso nell’incomprensione o nell’indifferenza degli adulti. L’ipocrisia della ricostruzione dei telegiornali di oggi – conclude Lo Giudice – è la stessa che impedisce in tante scuole italiane di parlare apertamente del pregiudizio e del bullismo anti-gay e fa sì che tanti, troppi ragazzi e ragazze continuino a soffrire nel silenzio generale di cui, l’abbiamo visto a Torino, si può anche morire.» (Roberto Taddeucci)
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