Altro che porno: Nymphomaniac è un geniale puzzle filosofico

Il sorprendente dramma erotico di Lars Von Trier è un algido teorema psico-matematico su un’ossessione sessuale. Perfetta Charlotte Gainsbourg, esilarante Uma Thurman che crede il marito bisex.

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Altro che porno. È un film radicalmente coraggioso, innovativo, punk e liberissimo, l’atteso dramma erotico “Nymphomaniac – Volume 1” del maestro danese Lars Von Trier, odissea sessuale di una donna inglese, Joe, che si definisce ninfomane e soprattutto ‘un essere umano cattivo’. Ma non è affatto un film hard. Si tratta piuttosto di un complesso e algido teorema psico-filosofico irrorato da un certo humor sarcastico e costruito come un vertiginoso puzzle creativo sull’eterna dialettica tra l’edonismo sessuale e l’astrazione amorosa, la solitudine fisica (la vita è forse un’esperienza ego-solipsistica?) e la complementarietà sentimentale rassicurante delle dinamiche di coppia. Come una sorta di controversa Sherazade postmoderna, Joe racconta la propria vita rocambolesca dominata dalla ninfomania a un solitario professore ebreo, Seligman (vuol dire ‘uomo felice’ e lo interpreta un calibrato Stellan Skarsgård) che l’accoglie nel suo spartano appartamento dopo averla trovata sanguinante in un vicolo.
Usando un’espressione provocatoria, nello stile dell’opera, potremmo dire che Nymphomaniac ‘scopa’ il cervello dello spettatore per quasi due ore.

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Cioè cerca di eccitarlo intellettualmente parlando sì di sesso ma soprattutto di filosofia, arte e matematica attraverso un’operazione molto letteraria che ricorda sia il profetico metaromanzo settecentesco Tristram Shandy di Laurence Sterne che l’accumulazione enciclopedica e combinatoria di Perec: i primi cinque capitoli su otto (gli altri tre sono nel Volume 2) sono piuttosto sperimentali, assai dialogati, ciascuno con un proprio stile differente, non lineari in senso cronologico, con molta camera a mano in stile Dogma, ricchi di sottotrame e divagazioni bizzarre. Tutto al fine di aggiungere progressivamente tasselli più o meno significativi al puzzle esistenziale di una donna sola ossessionata dalla pulsione sessuale. Un personaggio affascinante e magnetico che entra nella galleria dei grandi ritratti di donne martiri sul crinale della follia come Bess nel capolavoro “Le onde del destino” o la memorabile Selma/Bjork dello straziante “Dancer in the Dark”, di cui Nymphomaniac ricalca l’ipnotico incipit. Qui l’eroina dolorosa è la bravissima Charlotte Gainsbourg, al terzo film consecutivo col maestro danese, perfetta nell’incarnare il mistero e la caparbietà seduttiva di Joe, legatissima al proprio padre medico (il fascinoso Christian Slater), appassionato di botanica, con cui fa lunghe passeggiate nel parco.

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A lui e alla sua malattia imprecisata che gli causa il delirium tremens è dedicato il capitolo più cupo e disturbante, “Delirium”, in bianco e nero, annunciato dall’incipit del racconto gotico “The House of Husher” di Edgar Allan Poe.
Piccola Joe, ma già grande per precocità ormonale: a soli due anni scopre il proprio organo riproduttivo strusciandosi sul pavimento del bagno con la sua amichetta e sulle corde appese in palestra, affascinata dal suono magico della parola ‘sensazione’.
Sfrontatamente emancipata, Joe diventa una ragazzina indipendente (la rivelazione Stacy Martin, impenetrabile e atonale) che gioca a farsi più uomini possibili su un treno con l’adorata complice chiamata ermeticamente B, interpretata dall’efficace Sophie Kennedy Clark che era Philomena da giovane nel film di Stephen Frears. Negli anni ’70, in piena contestazione, Joe organizza sedute di masturbazioni collettive col suo gruppo di sole donne al grido di “Vulva Mea Maxima Vulva”. La svolta lesbica con la segaligna P – interpretata dalla diafana Mia Goth – è anticipata sui titoli di coda in cui si vede il bacio saffico e sarà sviluppata nella seconda parte. Esilarante il cameo grottesco di Uma Thurman nel ruolo di una moglie tradita che porta i tre figli a visitare la casa dell’amante del marito che crede bisex e impegnato in un ménage à trois con Joe e un altro uomo.
Nymphomaniac ha una complessa struttura algebrico-ricorsiva in cui sono ricorrenti due numeri di Fibonacci, il 3 e il 5, legati alla sezione aurea e densi di significati esoterici e cabalistici.

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Tre e cinque come i capitoli della seconda e della prima parte ma anche come le tre sodomie e i cinque amplessi del suo sverginamento con l’unico, vero, grande amore Jerôme (un animalesco Shia LaBoeuf), che torna periodicamente nella storia come un vero eroe romantico. È indiscutibile il sorprendente genio visionario di Von Trier: basta notare che il banale parcheggio di un’auto diventa un’opera d’arte geometrica alla Venet ripresa dall’alto come se fossimo nella città disegnata sul pavimento di Dogville. La matematica torna nei criteri stocastici che utilizza Joe, attraverso un semplice dado, per scegliere casualmente il destino dei suoi n+1 amanti: Dio si esprime forse attraverso leggi matematiche?
Ma dov’è il sesso, vi chiederete? Ovunque, non solo fra le gambe: fornicazioni a valanga; sperma e lubrificazioni vaginali colanti; membri flaccidi a nastro e numerati (ancora l’8=5+3) che sembrano rami classificati dell’Albero dei Peni nell’immaginifico romanzo hard di Nicholson Baker La casa dei buchi; un magnifico giaguaro biondo gran cavalcatore; blowjobs trivellanti; cunnilingus birichini. Gli amanti del genere bear impazziranno per il personaggio ritualista, fan della slappata intima, interpretato da un meditativo Nicholas Bro, ma anche per un monumentale grizzly ipodotato che si vede in un ardito full frontal.

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Non è un film sul sesso inteso come meccanica pornografica e prestazionale – non è affatto sexy – ma sul caso clinico di una donna sessuomane torturata e oppressa dalla solitudine: la figura chiave del disturbo di Joe è sua madre che lei definisce ‘stupida’ ed ha una personalità ombra, assente e non empatica (la interpreta una statuaria Connie Nielsen). La solitudine è infatti il cuore pulsante del film e sembra riflettere quella del regista, più misantropo del solito dopo l’umiliante delirio di due anni fa sulla Croisette in cui sono state strumentalizzate le critiche alle battutacce del regista, causa della sua espulsione dal festival come ‘persona non grata’ e addirittura un’indagine per apologia di nazismo. Von Trier sembra desideroso di mostrare al mondo che non è un nazista pieno di sé ma un regista geniale in fase febbrilmente creativa, e Nymphomaniac lo dimostra compiutamente.

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Il capitolo più ambizioso è il quinto: lo schermo è trisecato verticalmente come nel classico “Napoleon” di Abel Gance (1927) e racconta contemporaneamente, con la possibilità di montaggio opzionale da parte del pubblico, tre vicende con altrettanti amanti di Joe attraverso l’avvicendarsi di alcuni intervalli di pause visive che seguono l’armonico ritmo delle note secondo una sorta di canone di Pachelbel rielaborato da Bach. Magnifico l’uso delle musiche: una polifonia orgasmica, dal tempo sincopato dei 5/8 al valzer di Shostakovic che si sente in Eyes Wide Shut per esplodere con la forza dirompente dell’hard metal dei Rammstein.
Un’avvertenza all’inizio del film spiega che la versione presentata è approvata dall’autore dopo un accordo con la produzione ma non è quella integrale: il director’s cut della prima parte sarà presentato in anteprima mondiale a Berlino. L’impressione è in effetti di assistere a uno spettacolo troncato, monco, frazionato, un video-coitus interruptus anche se soverchiato dall’abbondanza un po’ confusionaria di idee: vien voglia di vedere subito la seconda parte e saperne più di Joe. Da noi arriverà in marzo. La seconda parte esce invece in Francia già il 29 gennaio.
Nymphomaniac – Volume 1 è un ufo cerebrale, un mezzo capolavoro sghembo di rara forza espressiva, un potente film spartiacque che sdogana definitivamente la rappresentazione dell’osceno sessuale al di fuori del cine-ghetto pornografico. Sì, ci ha fatto godere. Almeno per i primi cinque ottavi.

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