CinemaSTop, nel grottesco Leone d’Oro di Andersson anche Carlo XII gay

Dal piccione premiato a Venezia al camp Mortdecai e al fantasy dark con Julianne Moore

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Nel piccione da Leone d’Oro di Andersson scopriamo l’omosessualità del re svedese Carlo XII

Il titolo è wertmulleriano, ma la sua comicità è scandinava, tra il grottesco raffreddato e il teatral-surreale da teatro dell’assurdo alla Ionesco: “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” di Roy Andersson, vincitore a sorpresa del Leone d’Oro all’ultima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia è il terzo capitolo della trilogia composta anche da “Canzoni dal secondo piano” del 2000 (bellissimo e straniato) e da “You, The Living”, 2007 (variante quasi rock ma meno incisivo). È composto da una serie di 39 tableaux vivants decolorati a piano fisso che possono ricordare vagamente la pittura di Edward Hopper e Otto Dix, sulla desolazione esistenziale contemporanea ma non solo. Due mesti commessi viaggiatori, Sam e Jonathan, tentano di vendere senza successo i loro articoli di carnevale mentre varia umanità si mortifica deprimendosi, incapace di gioire in una società intristita dove le derive del consumismo hanno preso possesso dell’anima della gente. In un improvviso salto temporale, vediamo Carlo XII di Svezia (1682-1718) prima diretto alla battaglia di Poltava contro i russi di Pietro Il Grande e poi tornare sconfitto in un pub contemporaneo dove apprezza le grazie di un cameriere. “Carlo XII ha sempre rappresentato un simbolo machista per i politici di destra, lo identificano con il potere – aveva spiegato Andersson a Cinecittà News da Venezia -. Finora nessuno aveva mai osato citare la sua omosessualità, perché invece non dirlo apertamente, facendone un simbolo più onesto?”.

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La divina Julianne Moore strega malvagia nel fantasy dark “Il settimo figlio”

Nella speranza che la nostra adorata Julianne Moore si aggiudichi domenica prossima un meritatissimo Oscar per il dolente “Still Alice”, possiamo rivederla ne “Il settimo figlio”, fantasy fiabesco diretto dal russo Sergej Bodrov su una guerra a colpi di arti magiche fra le forze sovrannaturali e i comuni mortali. La splendida rossa naturale interpreta una strega malvagia, Madre Malkin, fuggita in fase di Luna Rossa da un buio antro dove l’aveva relegata il cacciatore di streghe Gregory (Jeff Bridges). Per sconfiggere la malevola, Gregory deve sostituire l’apprendista ucciso dalla medesima, e trova il giovane Tom Ward (il grazioso Ben Barnes), settimo figlio di un settimo figlio, in grado di sconfiggere abilmente la terribile magia nera.
Tratto dal romanzo dark-adventure “L’apprendista del mago” di Joseph Delaney, tradotto in Italia da Mondadori nel 2004 e ripubblicato in occasione dell’uscita del film, ha avuto diversi travagli produttivi per il fallimento della società “Rhythm & Hues Seeks” che aveva coprodotto il film con cinque milioni di dollari. Ideale per i fan della saghe young adult, più Il Signore degli Anelli che Harry Potter.

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“Mortdecai”, commedia camp e old-fashioned con un istrionico Johnny Depp baffuto

In Inghilterra i libri su Mortdecai sono una serie di culto e in Italia sta contribuendo a diffonderli la casa editrice Piemme che ha pubblicato il primo capitolo “Non puntarmi contro quella roba”. L’omonimo protagonista, incarnato da un istrionico Johnny Depp con curiosi baffoni a manubrio, è un mercante d’arte dandy, seguito a vista dall’inseparabile gorilla/maggiordomo armato fino ai denti, Jock (Paul Bettany). L’adorata moglie Johanna (Gwyneth Paltrow) detesta però i suoi vistosi mustacchi alla Poirot. Quando il servizio segreto inglese chiede aiuto a Mortdecai per recuperare un Goya andato trafugato, il superdandy accetta nella speranza di poter saldare il debito col fisco poiché deve vari milioni di sterline di tasse alla Regina.
Commedia naif mascherata da spy story, si preannuncia piuttosto camp per lo sfoggio di costumi e ambientazioni scenografiche extradeluxe. A livello internazionale è stato un sonoro flop: ha incassato circa un terzo dei sessanta milioni di dollari che è costato.

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“Il segreto del suo volto”, quasi un almodovariano “La pelle che abito” ambientato alla fine della Seconda Guerra Mondiale

Una sopravvissuta al campo di concentramento, Nelly Lenz, torna nella natale Berlino per farsi ricostruire il viso devastato dalle ustioni poiché il marito Johnny nemmeno la riconosce. Ma notando la somiglianza con la moglie che crede morta, le chiede di interpretare il ruolo di se stessa (!) per incassare l’eredità. Il curioso dramma identitario “Il segreto del suo volto” di Christian Petzold sembra una variante storica dell’almodovariano “La pelle che abito”, tra melò e film noir, e potrebbe meritare una visione. La protagonista è l’avvenente femme Nina Hoss, il cui fascino altero potrebbe conquistare il cuore delle nostre lettrici.

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