Cover Boy, l’ultima rivoluzione è gay

Esce finalmente nelle sale "Cover Boy", il buon dramma di Carmine Amoroso che affronta con coraggio i temi del precariato, dell'immigrazione e dell'omosessualità. Cameo "inviperito" della Littizzetto.

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Questo è il cinema italiano che ci piace di più, di cui ci si può davvero fidare: vitale e coraggioso, capace di sopperire alla mancanza di denaro con l’originalità delle idee, svincolato dalle gabbie del ‘genere’ e pronto a esplorare nuovi territori espressivi. Stiamo parlando di Cover boy – l’ultima rivoluzione di Carmine Amoroso, piccolo ma combattivo film indipendente che, come al solito, ha impiegato tempi biblici per uscire nelle sale, quasi un anno, dopo l’applaudita anteprima italiana al Togay nell’aprile 2007 e dopo aver circumnavigato il globo partecipando a ben 38 festival internazionali vincendo otto premi tra cui, a Valencia, quello per la miglior fotografia. Sarà distribuito grazie all’Istituto Luce in sole dieci copie nelle città capozona, per cui è fondamentale supportarlo col passaparola.

I temi trattati da Cover Boy non potrebbero essere più attuali: il precariato del lavoro, l’immigrazione rumena, l’amore omosessuale. Ma per una volta non vengono affrontati in maniera affastellata e confusa, bensì si integrano nella struttura narrativa con una fluidità ammirevole per nulla scontata.

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Ioan e Michele (Eduard Gabia e Luca Lionello) sono due amici assai diversi tra loro ma accomunati dalla difficoltà di inserirsi nella società e desiderosi di aprire insieme un ristorante: Ioan è un emigrato rumeno reduce dalla rivoluzione post-comunista, dapprima speranzoso poi presto disilluso di rifarsi una vita in Italia rischiando così di finire nel giro della prostituzione; Michele è un addetto alle pulizie che si barcamena tra contratti a termine che non prevedono un rinnovo e subaffitta un letto di casa sua a Ioan, innamorandosene segretamente. Quando Ioan viene introdotto nel mondo della moda da una fotografa milanese ex reporter di guerra (Chiara Caselli, ispirata più del solito) che gli prospetta una carriera come modello in passerella, i due ragazzi rischiano di separarsi non senza fratture all’apparenza insanabili.

Disagio esistenziale raccontato senza compiacimenti, un amore gay finalmente non protetto dalle convenzionalità borghesi ma palpitante e schietto in un contesto proletario credibile sullo sfondo di una Roma polverosa ritratta con sincerità, senza infingimenti superflui grazie a uno stile neorealista alla Garrone che risulta vincente. E nella sceneggiatura ben bilanciata, il tono è alleggerito grazie a un gustoso cameo di Luciana Littizzetto nel ruolo autoironico della perfida padrona di casa dalle ambizioni cinematografiche ma frustrata perché costretta a ruoli di ‘attrice generica parlante’ («Non ho sfondato perché non mi sono fatta sfondare!»).

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Un film dalla gestazione non facile, questo prezioso Cover Boy, il cui finanziamento iniziale di 3 milioni di euro è stato ridotto del 75% durante il governo Berlusconi a causa della legge Urbani. «Sono contento che il mio film esca il Venerdì santo» spiega il regista Amoroso, la cui opera prima – il non riuscito Come mi vuoi su un trans innamorato di un poliziotto – risale a dieci anni fa. «Realizzare Cover Boy è stato una specie di calvario. Ero disperato e solo ma poiché sono abruzzese e testardo ho deciso di andare avanti. È stato girato in Hdv, una nuova tecnologia leggera a basso costo che ci ha permesso di risparmiare e di girare ovunque, perfino a piazza San Pietro e in luoghi dove dovevamo tenere la macchina nascosta. Si tratta di un film autobiografico: sono stato due anni in Romania, sono molto attento a quella cultura e a quel cinema. Inoltre anch’io mi sento un po’ precario nel lavoro che faccio».

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