"Che cosa sta cercando?" chiede al momento giusto (al cimitero Père-Lachaise di Parigi!) l’attore simbolo del cinema francese Jean-Pierre Léaud all’incauta protagonista che ha perso il numero di cellulare di un ragazzo. "Ecco il mio numero", aggiunge.
Nel nuovo piccolo capolavoro di Tsai Ming-Liang (autore dei più bei film gay orientali degli ultimi anni, da "Vive l’Amour" a "Il fiume") "Che ora è laggiù?", un ragazzo che vende orologi perde il padre e inizia a fare cose strane (parla con l’urna cineraria, ha difficoltà a entrare in casa, conserva l’orina in bottiglie e la dà alle piante) mentre la madre crede che il marito sia reincarnato in un animale, gli prepara i pasti come prima e organizza curiosi riti religiosi per evocarne lo spirito. Conosce una ragazza che gli compra l’orologio ("Guarda che porta sfortuna" dice lui) e che si perderà a Parigi trovandosi inesorabilmente sola e depressa.
Tsai Ming-Liang, che perse il padre di cancro dieci anni fa, dotatissimo regista taiwanese soprannominato l’"Antonioni d’Oriente" e specializzato in radicali, astratte e profondissime riflessioni sulla solitudine e incomunicabilità umana, firma uno dei suoi film più complessi e "atemporali" (concorso di Cannes 2001), geometrico e spietatamente ironico, visivamente affascinante, molto meno lento dei precedenti e con insoliti echi kieslowskiani sui misteriosi rapporti tra caso e destino. Il protagonista, il bellissimo Kang-Sheng Lee, dal viso dolente e dolcissimo, appassionato de ‘I quattrocento colpi’ di Truffaut di cui si vedono alcune scene poco note e splendide, viene sedotto da un ragazzo grasso al cinema che gli ruba un orologio da parete, lo convince a seguirlo in bagno e se lo mette sul pene, mentre lui preferirà andare con una prostituta ladra. La ragazza in fuga a Parigi, la fascinosa Shiang-Chyi Chen, si porta a letto l’unica ragazza con cui riesce a comunicare ma non ottiene più di un casto bacio sulla bocca. In una bellissima scena di pianto che ricorda il lunghissimo finale di ‘Vive l’Amour’ che fece scandalo al Festival di Venezia, la protagonista mostra con un’incredibile finezza recitativa quanto sia doloroso rivivere i fatti tristi del proprio passato. La madre disperata, nella scena più estrema e disturbante, arriva al godimento con un portafiori di vimini, ricordo di un regalo del marito.
Finale mozzafiato col padre che si rivede (forse) in un viaggio fatto proprio a Parigi. Come fare per trovare il tempo e i ritmi giusti per amarsi?
Vista la dissennata programmazione cinematografica estiva che scombina la permanenza dei film nelle sale, non dovete assolutamente perdere tempo: correte a vederlo prima che sia troppo tardi (in tutti i grossi centri urbani). E’ ora di amare.
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