Ore 18.30: lezione di sesso. Paul Westmoreland in arte Wash West arriva trafelato da Los Angeles con un aereo in leggero ritardo per presentare il suo seminario in video ‘Kingdom cum‘ (‘viene’ il regno), una sorta di ‘sguardo altro’ sul mondo della pornografia gay. Il motivato desiderio sarebbe quello di «creare un cambiamento qualitativo nella natura della rappresentazione erotica lavorando all’interno della stessa industria che questo tipo di immaginario produce e diffonde».
Sguardo appassionato e parlantina decisa, si vede che Wash West è un grande appassionato e conoscitore della materia: nella sua articolata presentazione affronta i limiti evidenti di questo genere cinematografico che in America ha un mercato fiorentissimo e seriale ma ben poche qualità artistiche. Il problema è anche educativo: West sottolinea come l’innaturalezza delle scene di sesso nei film porno gay spesso crei disturbi nei rapporti sessuali dei ragazzi, che riescono a identificare l’oggetto del loro desiderio unicamente con gli irreali pornostalloni da cassetta (e non riescono a far sesso se durante l’amplesso non guardano un film hard). La sua nobile idea è quindi: sesso sì, ma al naturale.
Diviso in sei sezioni abbastanza arbitrarie, ‘Kingdom cum‘ (che per il regista non ‘è porno’ ma ‘parla di porno’ intersecando cinema e sesso) è un collage di scene di molti dei film firmati da West: si va da ‘Lumberfuck‘, storia di un impiegato della Lumberjack che incontra un tipo che fa jogging e magicamente si ritrova a far sesso con lui negli anni ’70, a una serie di caste riprese di bodybuilders anni ’50 modello ‘Beefcake‘.
A dir la verità le differenze tra un ordinario film porno e le opere di West non sono così evidenti, e la ricerca di un linguaggio espressivo un po’ più sofisticato emerge solo in un’orgia ‘polisessuale’ (come l’ha definita West) virata in rosso che ricorda un po’ l’ammucchiata cannibale del film horror ‘Society’ di Brian Yuzna e in una romantica ed eroticissima scena d’amore in piscina con la bellissima pornostar di origine italiana Dino Di Marco (foto accanto al titolo).
Set porno anche nel film in concorso in prima serata ‘The Fluffer‘ (foto) firmato dallo stesso West e da Richard Glatzer, ma di hard qui non si vede nulla: il giovane cinefilo Sean prende da Blockbuster ‘Citizen cum’ invece che ‘Citizen Kane’ (Quarto potere) di Orson Welles e si innamora del bel bruno palestratissimo Johnny Rebel, eterosessuale che lavora come pornostar per una casa di produzione di video gay. Dopo averci trovato lavoro come impiegato, Sean viene scelto su un set per fare il ‘fluffer’, cioè l’aiutante ‘di mano e di bocca’ per ‘preparare’ Johnny che non riesce ad avere un’adeguata erezione. Scopre così che Johnny è eroinomane e fidanzato con una stripper di nome Babylon che resterà incinta: proprio per cercare una dose d’eroina commetterà un omicidio, fuggirà in Messico grazie alla complicità di Sean e si ritroverà a correre verso il mare come nel finale de ‘I quattrocenti colpi’ di François Truffaut (prova della grande cinefilia dei registi).
Mezza commedia ironica e mezzo dramma esistenziale, ‘The Fluffer‘ sarebbe da vedere soprattutto per la bellezza smodata del protagonista, quint’essenza della mascolinità classica (scuro, muscolosissimo, viso perfetto e sguardo macho).
In un ruolo minore, l’umanissima tenutaria del locale dove lavora Babylon, la mitica Deborah ‘Blondie’ Harry, invecchiata ma ugualmente fascinosa con una lunga capigliatura bianca e nera.
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