Festival Mix: intervista a Geoffrey Couët, dalla Francia con amore (e sesso)

Geoffrey Couët si racconta, dal passato da ballerino al tema dell'Aids, fino a rivelare di "un legame indissolubile" col co-protagonista di Théo et Hugo...

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Sarà quel suo sguardo luminoso tra il tenero e il malizioso. O quel sorriso accennato da scricciolo timido e incuriosito. O ancora quel suo ritratto d’insieme di ricciolino di talento. Quel che è certo è che Geoffrey Couët è una delle due rivelazioni (l’altro è il partner sul set François Nambot) del film queer più impattante e da dibattito della stagione che ha inaugurato ieri con successo il trentesimo Festival Mix di Milano: il fiammeggiante Théo e Hugo dans le même bateau della insolubile coppia Olivier Ducastel e Jacques Martineau. Una ronde notturna per una Parigi silente che svela segreti inattesi di una coppia gay in procinto d’innamorarsi preceduta da una serata ‘très très chaude’ in un sex club – L’Impact, quello vero – dove, tra pulsioni selvagge e corpi madidi, s’incontrano i corpi di Théo e Hugo che prima s’annusano e si divorano, e poi cedono alla scoperta di qualcosa di davvero molto più intimo grazie a un giro in bici nelle strade semivuote, confidenze anche scioccanti, la consapevolezza che nel nuovo giorno non sta nascendo solo un’alba ma, forse, anche un vero amore.

GeoffreyCouet01Abbiamo conosciuto Geoffrey a Nizza, dove è stato ospite del Festival In & Out: è un ragazzo solare e disponibile.

Come sei entrato nel progetto di Théo e Hugo dans le même bateau?

Come per la maggior parte dei film, Olivier Ducastel e Jacques Martineau sono passati attraverso un direttore di casting, Simon Frenay, che ha diffuso un annuncio. Un annuncio chiaro, che avvertiva la presenza di scene di sesso esplicito nel progetto. Mi sono candidato e ho passato un casting. Il casting avveniva a coppie, e il caso mi ha fatto passare con François Nambot che non conoscevo. Nella scena c’era un dialogo e un bacio che bisognava rendere intenso. Credo che io e François avessimo la stessa voglia di lavorare su questo progetto e così ci siamo gettati nella scena, interamente, sinceramente, senza paura né pudore. Il nostro binomio ha sedotto Jacques e Olivier che hanno desiderato rincontrarci di lì a poco. Abbiamo avuto numerose e appassionanti discussioni. Poco a poco abbiamo compreso che eravamo stati scelti per il film.

La prima scena nel sex club è forte e diretta. C’è stato dell’imbarazzo nel girarla?

C’è stato dell’imbarazzo all’inizio, quando ci siamo spogliati, ma c’erano talmente tanti figuranti che, rapidamente, la nudità non è più stata un problema. In seguito, non credo che ci fosse dell’imbarazzo, era soprattutto molto intenso, molto fisico, fra il calore, i movimenti e l’esiguità del luogo. Sono stati giorni di riprese molto faticosi ma gioiosi! Credo che sia una scena talmente surreale da interpretare che si esca da qualcosa di personale, di intimo, di imbarazzante. Si tratta di coreografia, di show, di lasciarsi andare.

Théo e Hugo 2Fra te e François Nambot si avverte una evidente alchimia. C’è stato qualcosa di sentimentale fra di voi o era solo lavoro?

Abbiamo rapidamente preso coscienza che questo film ci avrebbe ‘legato’ a vita. Perché è il primo e perché recitiamo ruoli che pochi attori hanno la possibilità di fare. Senza avere pressioni, la posta in gioco personale era molto grande: un ruolo da protagonisti non si può sbagliare! Abbiamo dunque un legame privilegiato e molto forte. Ma si tratta veramente di lavoro, non d’amore. Veniamo entrambi dal teatro, abbiamo carriere simili, le stesse età e abbiamo adorato preparare i ruoli prima da soli, a due, e poi con Jacques e Olivier. Credo che siamo entrambi lavoratori assidui, accaniti, e questo ci ha reso ancora più complici. Io e François avevamo a cuore di trovarci in una relazione di confidenza, benevolenza e generosità.

Il film dà la sensazione del tempo reale, in quanto tempo avete girato? Com’era Parigi di notte?

Abbiamo girato in quindici notti. Parigi notturna è piena di contrasti: eravamo contemporaneamente soli e tagliati dal mondo, come dei bambini al parco giochi. Per esempio, per le scene in bicicletta, eravamo abbastanza lontani dalle videocamere, lasciati a noi stessi. E nello stesso tempo, in alcuni quartieri come Stalingrad era il contrario: è un quartiere in cui di notte ci sono molti vagabondi e tossicomani. Abbiamo scoperto una fauna sorprendente che è stato necessario tenere a distanza per le riprese. Dopo questo film ho avuto l’impressione di essere diventato complice della Parigi notturna, ne conosco alcuni segreti.

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Il modo di introdurre la tematica dell’Aids presenta l’evidenza che per molti giovani gay non è più una minaccia. Che ne pensi?

Credo che ci sia una sorta di allentamento tra i giovani: meno protezioni, meno prevenzione. Eppure l’Aids è sempre una minaccia! Anche se poche persone muoiono di Aids, non bisogna allentare la pressione e restare vigilanti per non essere contaminati. Sono anche molto fiero se Théo et Hugo dans le même bateau fa da stimolo per ricordarlo ai giovani. Dopo l’uscita del film ho ricevuto molte testimonianze di persone che mi confessavano di aver preso un Trattamento Post Esposizione dopo aver visto il film… Abbiamo forse salvato delle vite?

Ci sono altri ruoli gay nella tua carriera?

No, questo è il primo. Ma per me ‘ruolo etero’ o ‘ruolo gay’ non cambia molto nella mia recitazione. La sola cosa che cambia è che la persona con cui lavoro è una donna o un uomo!

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Fai anche teatro: parlami di Rent che ti ha fatto vincere un premio come migliore attore…

Ho allestito Rent per la fine degli studi nella mia scuola di teatro ‘Le cours Florent’. Era un adattamento molto libero del musical di Jonathan Larson, una pièce sull’Aids… Un argomento che mi è dunque caro! Nel mio adattamento avevo creato una piccola scena di un cameriere di un caffè che s’annoia e immagina di essere una sirena. Era fondamentalmente una scena di transizione ma ha fatto talmente ridere il pubblico che la scuola mi ha dato il ‘Premio per il Miglior attore di commedia’. Una bella sorpresa per finire i miei studi.

So che hai lavorato anche in Italia, a Busca, nel cuneese… Che cosa conosci dell’Italia, la ami?

Sì, lavoro in due compagnie franco-italiane. Con la Compagnia Asilo ho recitato a Torino in ‘Frontiere’, una pièce contemporanea di Mariana Giomi sull’immigrazione. Recitavo in francese con un’attrice italiana. Ma ho dovuto comunque imparare la dichiarazione dei diritti dell’uomo in italiano! Con la Compagnia di Siky Goldstein ho recitato a Busca e a Caraglio (in provincia di Cuneo, n.d.r.) il ruolo di Molière che affronta Lully. Amo molto queste città italiane che ho potuto scoprire, la gentilezza italiana. Vado matto per gli amaretti, Ozpetek, Fausto Paravidino, Ricci/Forte ed Emma Dante. Infine, uno dei miei sogni è ‘far niente’ per qualche giorno a Procida che mi sembra magnifica!

E a proposito della danza?

Ho una formazione di ballerino con basi classiche, commedia musicale e modern-jazz. E amo molto ballare. Ho avuto qualche contratto professionale come ballerino oltre a singole performances. La più improbabile? Partecipare allo show orchestrato da Nikos Lagousakos prima dell’esibizione di Jennifer Lopez a Casablanca, in Marocco.

Nuovi progetti all’orizzonte?

In questo momento dirigo e faccio da coach all’attore Sébastien Ventura sul suo monologo in scena. Lavoro alla sceneggiatura di un lungometraggio. Preparo una messa in scena su Victor Hugo e… Aspetto il prossimo casting, chiamatemi!

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