Non poteva concludersi in maniera migliore, il 24° Festival Mix di Milano, forse l’edizione più eclettica e stimolante degli ultimi anni. Vince il titolo più personale e insolito, il rigoroso dramma rurale Ander di Roberto Caston, già direttore del festival gay di Bilbao, sulla complicità travolgente ma controversa fra un corpulento fattore basco e un immigrato peruviano assunto come aiutante ma malvisto soprattutto dall’anziana matriarca tradizionalista. Un’opera prima onesta e priva di orpelli, stile pulito e fotografia umbratile, senza alcuna concessione alla spettacolarità, dal passo lento e solenne, scandito dai ritmi naturali della vita bucolica, in controtendenza con un certo cinema queer metropolitano, modaiolo e ad effetto. È acquistato da Atlantide Entertainment per la sua benvenuta colonna glbt Queer Frame, insieme ad altri titoli presentati al Festival Mix: Plein Sud, El cuarto de leo, El niño pez e Do começo ao fim.
La giuria composta da Ida Marinelli, Paola Piacenza, Patrizia Valduga, Luca Formenton, Anthony Majanlahti, Aldo Nove e presieduta da Antonio Calbi, direttore Spettacolo del comune di Milano, l’ha scelto «perché capace di raccontare un mondo chiuso ma in trasformazione con limpidezza e coerenza di stile. Perché tutti siamo usciti dalla proiezione con la certezza di aver conosciuto delle persone e non soltanto dei personaggi, delle storie, dei temi. Per la cura misurata della sceneggiatura, i cui ritmi si specchiano nel tempo del luogo e degli animi. Per la sottigliezza antiretorica della rappresentazione dell’erotismo. Per la scena di sesso più intensa del festival. Tutto ciò dà all’opera scelta quella dignità estetica che, nei sentimenti, nell’erotismo, nelle emozioni, è indifferente ai generi, e al genere di amore». Nella rosa dei finalisti sono stati presi in considerazione anche Hannah Free, El ultimo verano de la boyita, Paname e The Big Gay Musical.
Tra i documentari ha trionfato il toccante + o – il sesso confuso – Racconti di mondi nell’era Aids di Andrea Adriatico e Giulio Maria Corbelli «per la forza delle testimonianze e la lucidità dello sguardo», finalmente un’opera d’impatto non pietistica sull’epidemia Hiv scandita per decenni e vista "dall’interno" (interviste a contagiati, infettivologi, psichiatri), in grado di restituire sullo schermo con efficacia la profonda solitudine sociale indotta dall’epidemia, il disorientamento e poi lo strazio per l’iniziale mancanza di cure, il vergognoso silenzio contemporaneo a proposito di Aids con l’insorgere del fenomeno "bareback". Un’opera dall’alto valore educativo che andrebbe diffusa il più possibile e con ogni mezzo.
Il mini-thriller canadese The Armoire di Jamie Travis si è aggiudicato il premio come miglior corto mentre una menzione speciale è stata assegnata allo statunitense The Japanese Sandman di Ed Buhr sul rapporto epistolare fra Burroughs e Ginsberg.
Si conclude così un’ottima cine-annata, in cui anche la commedia, un genere spesso sottostimato nei festival glbt, ha avuto il giusto spazio, apprezzato anche dal pubblico che ha premiato la spassosa ma un po’ televisiva sarabanda camp Oh vey my son is gay! di Evgeny Afineevsky.
Così, l’incoronazione della superfriendly Lella Costa come Queen of Comedy del 2010 non poteva essere più appropriata (e, quasi a suggellare un’ideale accoppiata al femminile, l’amata Pina di Radio Deejay è stata nominata Queen of Music). Ma il Festival Mix, in delicato equilibrio tra contemporaneità e tradizione, ha saputo saggiamente anche guardarsi indietro con la significativa sezione Uncut sulla censura cinematografica, "capitanata" dal grande Tatti Sanguineti, autore del doc Italiataglia, e arricchita dalle proiezioni integrali di Salò e Ultimo tango a Parigi.
La sorpresa del Festival è stato indubbiamente lo stiloso esordio registico che ha rivelato la nascita di un giovane autore, J’ai tué ma mère del ventunenne canadese Xavier Dolan, premio Enzo Lancini, dramma famigliare sull’orlo di una crisi di nervi, piuttosto energico e originale, tra poetici ralentis e inquadrature sofisticate, incentrato sul rapporto edipico "strabico" e contorto, d’amore/odio, fra una madre disattenta e il figlio gay isterico (lo stesso Dolan ha definito il progetto "parzialmente autobiografico").
In definitiva, un consuntivo più che positivo che lascia ben sperare per i festeggiamenti del quarto di secolo, l’anno prossimo, con l’augurio che i finanziamenti, troppo risicati, possano in qualche modo vedere un incremento dato l’elevato valore culturale della manifestazione.
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