Se la stagione cinematografica è stata abbastanza avara in fatto di film lesbici (meno per quelli gay, spesso lanciati dai festival) la possibilità di recuperare ‘in extremis’ è data da un piccolo, interessante film inglese in uscita alla chetichella questa settimana e passato in concorso al Togay (non tardate a vederlo, visti gli impietosi cicli di vita estivi che spesso non arrivano ai quindici giorni). Trattasi di ‘My Summer of Love‘ di Pawel Pawlikowski, fiaba semplice e luminosa ambientata nello Yorkshire sull’amore estivo (fulminante, istantaneo, rabbioso) tra due ragazze molto diverse, la
proletaria Mona, capello rosseggiante e viso imbronciato e la delicata bruna Tamsin, ricca e un po’ viziatella liceale con l’hobby di suonare il violoncello. L’incontro tra le due non potrebbe essere più favolistico: Tamsin si materializza davanti a Mona distesa su un prato nientemeno che su un elegante cavallo bianco. Le due ninfe passeranno l’estate insieme tra lunghe sedute al sole nei prati, scorribande in motocicletta, passeggiate e falò nei boschi, lunghi baci in acqua (come in ‘Laguna blu’ ma in versione saffica), appassionati guancia a
guancia al ritmo delle liriche canzoni di Edith Piaf. L’intesa nasce subito grazie anche alla condivisione di traumi comuni (la morte della madre di Mona e della sorella di Tamsin) e alla ribellione nei confronti del fratello della prima, Phil, ex gestore di pub convertitosi all’integralismo cattolico e capo spirituale di un gruppo di fanatici religiosi che organizza una specie di Via Crucis su una collina con tanto di enorme croce d’acciaio e contribuisce in maniera determinante a mettere in crisi il rapporto tra le due donne. Il principale motivo di interesse del film sta però soprattutto nella bravura delle protagoniste, le emergenti Emily Blunt e Natalie Press
(quest’ultima si vedrà anche in ‘Cromophobia’ a fianco di un Ralph Fiennes gay) che scatenano un’intensa alchimia magnetica a forte rilascio di perturbante sensualità. Il terzo protagonista del film è invece la natura, grazie allo splendido paesaggio dello Yorkshire, mai ritratto al cinema così rigoglioso e accogliente (Tamsin vive in una splendida tenuta con campo da tennis), contrapposto alle brutture della cittadina industriale dove vive Mona, dalle vie squadrate e dal grigio imperante. L’amore totalizzante reso sullo schermo con arguzia dal regista in maniera molto casta è reso palpitante da brevi frasi (“Passeremo il resto della vita insieme” “Lo so”) ed episodi trasgressivi come un ballo in discoteca con lungo bacio profondo (ed immediata espulsione dal locale) o piccole trasgressioni come vandalismi
occasionali (un nanetto da giardino contro il vetro di un’auto di lusso) e la vendetta nei confronti della famiglia di un burbero cinquantenne sposato che aveva avuto rapporti con Mona.
Semplice ma non banale, è un piccolo, solare film sentito e appassionato, girato con una certa grazia e non pretenzioso, tratto dal romanzo omonimo di Helen Cross (verrà pubblicato in Italia da Fandango Libri) da cui il regista ha espunto diverse parti, tra cui uno sciopero di minatori e un intero personaggio, un feroce assassino responsabile di due morti.
Da vedere, sperando che sopravviva in sala ben oltre l’inizio dell’estate.
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