Nel giorno del trionfo dell’illuminato François Hollande, anche il cinema francese esportato da noi sorride, con l’ottimo risultato di aver quasi sfondato lo scorso mese il 10 per cento degli incassi totali (per la precisione 9.78%) grazie anche al successo pieno dell’umanissimo Quasi amici giunto a oltre 14.3 milioni. È la migliore stagione in assoluto del cinema transalpino in Italia, tornato al centro dell’interesse internazionale col volano dei cinque Oscar a The Artist (e la riprova che in Francia il cinema è una vera industria supportata dallo Stato, a differenza nostra).
È andata meno bene, lo scorso weekend, incassando circa 240.000 euro, Gli infedeli, blanda commedia a episodi diretta da ben sette registi (Cavayé, Courtès, Dujardin e Lellouche anche attori, Hazanavicius, Lartigau e Bercot, costei unica donna). Ricalcando il modello della commedia italiana sexy anni ’70 sullo stile di Quelle strane occasioni – anche il mediocre ultimo film di Woody Allen, To Rome With Love, occhieggia a quel genere – si mettono insieme, piuttosto confusamente, sei brevi film intervallati da sketches in pillole quasi istantanei sul tema dell’infedeltà.
Nato da un’idea di Jean Dujardin, ormai onnipresente dopo la consacrazione dell’Academy (appare anche nel diseguale Piccole bugie tra amici ma quasi irriconoscibile perché immobile in un letto d’ospedale, deturpato da un incidente in moto), è stato sviluppato col suo sodale Gilles Lellouche, insieme al quale appare in quasi tutti gli episodi, il cui modello dichiarato è I mostri di Dino Risi ma in realtà ben distanti per consistenza ed esito. Con un tono scanzonato e virante al cialtronesco, si descrivono le scorribande di vari "fanfarons" dediti al tradimento compulsivo (con giovani lolite in discoteca, cougar sadomaso, escort qualsiasi) con uno sguardo decisamente maschilista e assolutorio. Gli unici episodi passabili sono proprio quelli in cui la presenza femminile ha voce in capitolo, ossia ‘Infedeli anonimi’, in cui si ritrovano i protagonisti dei vari segmenti a un bizzarro gruppo di autocoscienza retto dalla volitiva Marie-Christine (la brava Sandrine Kiberlain) in grado di svelare l’infantile grettezza di fondo dei suoi incorreggibili pazienti, oppure La bonne conscience diretto dal regista di The Artist, Michel Hazanavicius, in cui un meeting in un hotel diventa una disperata caccia sessuale fino a tarda notte per un erotomane insopportabile. Dujardin viene inquadrato più volte nudo di schiena mentre si masturba ossessivamente e a questo proposito Hazanavicius ha dichiarato: "Credo di poter affermare che tra noi c’è un’autentica complicità. Si fida di me e ci piace lavorare insieme. Posso chiedergli di chinarsi mentre è completamente nudo e di allargare le natiche davanti alla macchina da presa e lui è pronto a farlo. Per un attore della sua statura, è difficile dare una dimostrazione di fiducia più grande nei gusti di un regista".
Delude invece lo scontro al calor bianco tra Dujardin e la vera moglie Alexandra Lamy su un reciproco tradimento nel dialogato ‘La Question’ che punta alto – Cassavetes e Bergman – ma precipita nell’ovvietà e in una prevedibile chiusa familista. La palpabile complicità cameratesca tra Dujardin e Lellouche sfocia nell’ultimo episodio, Las Vegas, diretto da entrambi, in cui i due Marlboro Men, dopo l’ennesima notte di bisboccia nella capitale mondiale del vizio ludico, scoprono di amarsi e fanno carriera come coppia di illusionisti (non si vedono gli show ma solo le copertine delle riviste che testimoniano il successo), dichiarato omaggio alla coppia composta da Siegfried Fischbacher e Roy Horn, noti come Siegfried & Roy, celebri maghi di origine tedesca che si esibivano solitamente al Mirage e al Caesars Palace con due tigri bianche e a cui Michael Jackson dedicò nel 1989 la canzone Mind is the magic.
La svolta gay è più una boutade che altro – Dujardin evita persino il bacio sulla bocca di Lellouche abbracciandolo fraternamente – e sembra più l’ennesimo attacco all’universo femminile della serie: "State attente e non criticateci perché comunque sappiamo divertirci anche da soli". Insomma, più misogino che "filomosex".
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