Se il richiamo estivo della sala cinematografica si riduce alla ricerca di un po’ d’aria condizionata (e vista la programmazione boccheggiante, anche per i cinefili è dura), perché non recuperarsi un buon dvd d’autore? Ecco l’ultimo film del sessantaquattrenne André Téchiné, I testimoni, uscito per l’etichetta 01 un anno dopo la fugace apparizione nelle sale: come riuscire a raccontare la genesi dell’Aids e la conseguente tragedia collettiva in forma di commedia malinconica, attraverso una storia corale narrata con levità e pudore, evitando ogni patetismo e commiserazione.
Siamo nel 1984, a Parigi. Il vitale Manu, spensierato gay ventenne desideroso di fare nuove esperienze, si trasferisce a Parigi dalla provincia e si sistema con la sorella studiosa di canto, Julie, in un albergaccio che in realtà è un bordello. In un boscoso parco della città – un luogo di battuage affollato finalmente descritto senza toni cupi o morbosi – conosce il medico cinquantenne Adrien con cui instaura un’amicizia casta e fraterna. Ma Adrien si innamora perdutamente di Manu e non trattiene la sua gelosia quando scopre che questi ha una relazione con Mehdi, un poliziotto della buoncostume, neopapà legato in coppia aperta alla problematica Sarah, una scrittrice di favole in crisi creativa che si sente inadeguata nel ruolo di madre e ogni tanto si fa un giro di lenzuola con l’editore. L’improvvisa scoperta di una malattia sconosciuta nel corpo di Manu – Adrien la riconosce dalle ulcere sulla pelle tipiche del sarcoma di Kaposi e decide di dedicarsi esclusivamente allo studio del virus – causerà un collasso emotivo nel gruppo di amici terrorizzati dall’idea di essere stati contagiati ma rappresenterà un modo per Adrien di avere vicino Manu potendolo curare a casa sua.
Téchiné è sempre stato alquanto abile nel descrivere con solarità le gioie e gli entusiasmi tipici della giovinezza (vedasi il suo capolavoro Les roseaux sauvages – l’età acerba), tant’è che la parte più riuscita de I testimoni è proprio la prima, chiamata "I bei giorni" (gli altri due capitoli si intitolano "La guerra" e "Il ritorno dell’estate"), in cui si delineano i complessi caratteri dei personaggi sul doppio sfondo di una Parigi accogliente e una Provenza rigogliosa.
L’orchestrazione sapiente delle varie vicende è resa palpitante da un cast in stato di grazia, dal sensuale e angelico Johan Libéreau (Douches froides) nel ruolo di Manu, a un melancolico Michel Blanc capace di infondere i giusti sottotoni privi di effeminatezze al suo Adrien in apparenza pacificato ma in realtà fortemente bisognoso d’affetto. Ma funzionano egregiamente anche una rinnovata Emmanuelle Béart, l’ispida e inquieta Sarah (è sua la voce off che racconta l’intera storia) e, nel ruolo del marito che scopre il suo lato omosessuale durante un salvataggio in mare, il sempre più bravo Sami Bouajila (La strada di Félix). Nel ruolo cameo del concierge giocatore di carte ritroviamo il grande Jacques Nolot, uno dei pochi autori capace di trattare il tema dell’Aids – su cui il cinema gay più recente sembra purtroppo glissare distrattamente – con la stessa coerenza e sensibilità di Téchiné.
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