È stato un grande festival, il primo Torino Film Festival diretto da Gianni Amelio che ci ha concesso un’intervista esclusiva di prossima pubblicazione. Un concorso di alto livello confermato da un buon successo di pubblico nonostante il minore impatto mediatico per la presenza inferiore di star – comunque, che diamanti: Coppola, Rampling, Kusturica, Bellocchio, Sorrentino – rispetto alle due edizioni morettiane. Per la prima volta in ventisette anni ha vinto un film italiano, "La bocca del lupo" di Pietro Marcello, vera sorpresa ‘intergender’ tra finzione e documentario, ricerca e sperimentalismo a basso costo, il cui spirito guida è De André, di questa edizione molto trasversale, nei generi cinematografici come in quelli sessuali.
Ricercato, inconsueto, commovente soprattutto per lo spessore umano dei due protagonisti ex galeotti, il baldanzoso Enzo e la composta trans Mary che non sono potuti essere a Torino perché lei non sta molto bene ma festeggeranno tutti insieme il 3 dicembre quando il film sarà presentato a Genova. Il successo è tra l’altro doppio, visto che “La bocca del lupo” ha vinto anche il prestigioso Fipresci della critica. “Sono felice, vincere un festival importante come queste e ricevere tante lodi fa piacere” ha commentato Pietro Marcello. “Ma a vincere sono soprattutto loro, gli emarginati. Gli ex carcerati Enzo e Mary ma anche i senza tetto né legge che ogni sera si affollano nei labirinti dei carrugi, intorno al porto”.
Pare che la scelta del titolo vincitore sia stata unanime. Meno per gli altri premi, frutto di compromessi e accordi per cui ci sono volute ben sei ore di camera di consiglio: premio speciale ex-aequo a “Crackie” di Sherry White e “Guy and Madeline on a Park Bench” di Damien Chazelle, migliori attori Robert Duvall e Bill Murray per “Get Low” e Catalina Saavedra per il cileno “La nana”. Il pubblico ha invece scelto il rumeno “Medalia de Onoare” di Calin Netzer.
Un’edizione davvero riuscita, ricca di proposte eterogenee in cui il tema della fluttuazione sessuale era piuttosto presente, declinato in varie forme: dal transessualismo anche formale del film vincitore all’omosessualità libertina e bucolica di “Le roi de l’évasion”, dalle suggestioni tra Pasolini, Jarman e Greyson dell’italiano “Santina” per arrivare ai vagheggiamenti inconcludenti, punk e queer, nella Berlino giovanilista di “Saturn Returns” firmato dall’israeliano Lior Shamriz.
Ma la vera rivelazione di questo festival è stato il danese Nicolas Winding Refn, autore di una cinema estremo sui maschi e per i maschi, adrenalinico, tarantiniano, ansiogeno, sottilmente filogay e cameratista (il bacio tra i due amici al pub in “Pusher” seguito dal finto pestaggio, prima del tradimento, è davvero intenso) che è piaciuto molto al pubblico – tutte le sue proiezioni hanno ottenuto il tutto esaurito! – e potrà essere scoperto anche dai non festivalieri poiché il liberatorio “Bronson” è stato acquistato a sorpresa da una nuova casa di distribuzione, Movie Insight. Insomma, è davvero un momento di platino per il cinema a tematica queer che ultimamente eccelle non solo per quantità ma soprattutto per qualità: dopo il capolavoro di Tom Ford “A single man” che vince la Coppa Volpi e il Queer Lion a Venezia, il dramma sui gay nazi “Brotherhood” che conquista Roma, ora è la volta di Torino con l’innovativo “La bocca del lupo”: tre vertici di un cinetriangolo davvero magico.
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