Almodóvar è rinato. Dopo l’antipatico inciampo de ‘La mala educación’ dovuto sicuramente anche alle forti tensioni sul set, Pedro torna al mondo che gli è più congeniale e sa raccontare meglio (le donne, la cultura popolare spagnola, gli obbrobri famigliari) con un film semplice e intenso, malinconico e surreale, ‘Volver’, metà melò e metà commedia – con un innesto gore – dai dialoghi strepitosi e girato con uno stile maturo meravigliosamente limpido e fluido. Un film d’amore e morte, di solidarietà tutta al femminile (gli uomini sono assenti e/o stupratori da far fuori prima possibile), sull’ereditarietà degli affetti in cui l’amicizia è più potente dei legami di sangue. Con pochi tratti essenziali si restituisce alla perfezione lo spirito popolare di uno paesino manchego dove tutti si baciano, dove si bussa alla finestra per avere la certezza che la vicina sia ancora viva, dove il vento che soffia caldo e imperioso è foriero di incendi e di follia (splendido l’attacco con la carrellata sulle tombe lavate dalle donne mentre infuria il solano).
Ma la vera forza del film sta nell’eccezionale gruppo di interpreti, da una Penelope Cruz nel suo migliore ruolo di sempre, pura femminilità palpitante e non solo una citazione esplicita tra Magnani e Loren (ma con sedere finto), a una memorabile Carmen Maura presunto fantasma mai così carnale e appassionato, il cui ectoplasma è una fisicissima ‘puzzetta’ e le cui rughe sanno di vita vera e di esperienza. Il suo è sicuramente il personaggio più bello, il vero perno del film, metafora potente della coscienza inquieta che ritorna a chiedere e offrire una giustizia tutta terrena. Ma funziona egregiamente anche l’affiatato coro di comprimarie, dalla pacata sorella di Raimunda, Soledad detta Sole (Lola Dueñas), parrucchiera ‘abusiva’ che esercita in casa, alle dolenti Agustina (Blanca Portillo) e zia Paula, l’indimenticata Chus Lampreave, nonnina adorabile e speriamo non così ‘acciaccatella’ come nel film. Brava anche la giovane Yohana Cobo, adolescente in fiore per una volta non ciarliera né petulante.
Certo, non mancano alcuni cascami tipicamente almodovariani come
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Certo, non mancano alcuni cascami tipicamente almodovariani come gli intorcinamenti narrativi o le svolte pretestuose (tutta la parte del ristorante non è risolta bene e sembra un po’ giustapposta) ma la sensazione che lascia un film come ‘Volver’ è di una commovente giustezza ed equilibrio, come se Pedro avesse trovato una magica sintesi tra gli eccessivi sberleffi dei suoi primi film e un’importante profondità morale che ricorda il superlativo ‘Parla con lei’, forse il migliore Almodóvar degli ultimi anni. Era dai tempi di ‘Carne Tremula’ che Pedro non affrontava in nessun modo le tematiche GLBT (se vogliamo essere pignoli in ‘Volver’ c’è un accenno quando l’amica prostituta di Raimunda crede che voglia pagarla per andare a letto con lei) ma forse, dopo la brutta esperienza de ‘La mala educación’, deve avere a noia l’argomento, tanto più che a Cannes ha dichiarato di avere rifiutato persino la regia di ‘Brokeback Mountain’ (anche se pare per ‘problemi logistici’). In conferenza stampa ha anche fatto un sorprendente elenco delle attrici italiane che l’hanno ispirato oltre alla Loren e alla Magnani: “la Cardinale ma anche Antonella Lualdi, Silvana Pampanini, Anna Maria Canale, Lorella De Luca, un po’ la Sandra Dee italiana, e poi Marisa Allasco, Monica Vitti, Stefania Sandrelli, Mariangelo Melato e Rossella Falk: strana, filiforme e un po’ lesbica”.
La Palma d’Oro si avvicina dunque sempre più – l’ideale sarebbe un’accoppiata con le interpreti – ma un premio importante Pedro l’ha già vinto, il prestigioso ‘Prince of Asturias’, massimo riconoscimento spagnolo nell’ambito delle Arti, “per l’ingegnosità e sincerità dei suoi film e l’interesse e la vivacità delle sue sceneggiature, ma particolarmente per avere rappresentato le sue e nostre comuni radici come parte di una società globale che è sul punto di un esaurimento nervoso ma nello stesso tempo combatte per superare la svolta del secolo”.
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