Potrebbe diventare uno dei cine-casi della stagione e ha avuto l’onore del concorso al prestigioso Sundance Film Festival fondato da Robert Redford, la più importante vetrina mondiale per il cinema indipendentemente in programma da oggi al 31 gennaio nella nevosa Park City dello Utah. Stiamo parlando di “Contracorriente”, opera prima queer del peruviano Javier Fuentes-Leon, emersa già al Festival di San Sebastian a settembre dove ha vinto il premio Horizontes destinato al miglior film in lingua spagnola girato fuori dalla Spagna. La vicenda raccontata, in bilico tra reale e fantastico, è quanto mai intrigante e insolita: Miguel è un pescatore di Cabo Blanco, un piccolo villaggio situato sulla costa nord del Perù, è sposato con Mariela e aspetta da lei il primo figlio. Ma ha anche come amante segreto un affascinante pittore bohémien, Santiago, con cui porta avanti parallelamente un’appassionata storia d’amore che non potrebbe mai venire accettata dai compaesani tradizionalisti.
Ma Santiago muore accidentalmente in mare e appare in spirito a Miguel pregandolo di cercare il suo corpo e seppellirlo secondo le tradizioni locali affinché la sua anima possa riposare in pace. Così facendo, però, dovrebbe rendere pubblico il suo legame con Santiago, rischiando di rovinare il matrimonio: Miguel si trova di fronte a un dilemma che lo metterà a dura prova davanti alle responsabilità della sua coscienza.
Un grande senso del paesaggio e due attori carismatici (il boliviano Cristian Mercado e il colombiano Manolo Cardona) sembrano essere la forza di questo dramma fanta-naturalista che conferma la ‘nuova onda’ del cinema sudamericano glbt, emerso grazie a ottime prove quali il transgender “XXY” di Lucia Puenzo nel 2007 e i più recenti “La Léon”, stilosa prova d’autore firmata da Santiago Otheguy, vincitore al Togay, e l’esotico “A festa da meniña morta” di Matheus Nachtergaele.
“È un progetto molto personale nel quale esploro temi per me molto importanti” spiega il regista. “Aver vissuto molto tempo fuori dal Perù mi ha permesso di vedere con una nuova prospettiva alcuni aspetti della società nella quale sono cresciuto, e constatare come molte volte in essa – e in quasi tutto il mondo latinoamericano – si travisa il concetto di ‘uomo’, rimpiazzandolo con definizioni molto più povere e limitate che hanno meno a che fare con l’onore e l’autenticità quanto piuttosto con la mascolinità e la forza. “Contracorriente” è nato in una certa maniera da questa ricerca personale per definire che cosa significa essere un ‘uomo vero’, e come si relaziona la virilità con l’identità sessuale.
Molte pellicole hanno trattato a fondo la discriminazione e il tema dell’omofobia, però generalmente rappresentata come una forza esterna, cioè la discriminazione degli altri di una persona diversa da loro. Certo, esiste una buona dose di ciò in “Contracorriente” ma credo fermamente che la maggioranza delle volte il nostro peggior nemico non è necessariamente l’intolleranza degli altri, quanto piuttosto i nostri propri pregiudizi interni.
Se si riesce a superarli e accettarsi come si è, a dare il giusto peso alle convenzioni sociali e alle false aspettative che uno si crea da solo, trattare con la discriminazione degli altri diventa molto più facile. Perché stare tranquilli con se stessi è ciò che ci dà la forza per poter affrontare qualunque ostacolo che arriva da fuori, e contemporaneamente permette di agire con onestà.
Per questo mi sembrava importante esplorare in “Contracorriente” le conseguenze del nostro comportamento disonesto quando cerchiamo di nascondere la nostra vera naturalezza per una necessità vitale di cercare di adattare i parametri accettati dalla società in cui viviamo. Esiste un vuoto allarmante quando si tratta di seguire dei modelli per gli uomini e le donne latinoamericane che stanno combattendo per definire la propria identità sessuale. La mia intenzione con “Contracorriente” è raccontare una storia appassionata e coinvolgente che arrivi al grande pubblico, indipendentemente dal suo orientamento sessuale e che aiuti a riempire questo vuoto.
Alla fine dei conti, “Contracorriente” è una storia d’amore e come tale è una storia per tutti. Il vero amore è infatti il migliore strumento per liberare le persone dalle proprie angosce e dai propri inganni, renderle sicure e forti per poter accettare con convinzione chi sono realmente. Perché solo una persona libera nel senso pieno della parola può svilupparsi totalmente, e portare così la sua sensibilità propria e unica nel mondo che la circonda”.
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