LA TURBOLENTA VITA DI CAPOTE

I successi letterari, la mondanità sfrenata, la vita gay in Sicilia: scandali e amori dello scrittore americano Truman Capote. E al cinema, il film con Philip Seymour Hoffman.

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Qualcuno si ricorderà di Truman Capote nelle insolite vesti di attore, ormai bolso ma ancora irresistibile, in quella scombinata parodia del giallo che era ‘Invito a cena con delitto‘ di Robert Moore, scritto nientemeno che da Neil Simon, in cui il celebre scrittore interpretava il ruolo di un eccentrico miliardario, Lionel Twain, che invita nel suo maniero i cinque detective più famosi del mondo (Hercule Poirot, Miss Marple, Charlie Chan, Sam Spade e Nick Charles) per risolvere un raro caso di omicidio non pregresso, in quanto deve ancora avvenire. Il film era una cosuccia, eppure lo spirito pazzoide di Capote, discolo diabolico e scalmanato, emergeva ancora, nonostante i problemi d’alcool condizionassero già pesantemente la sua vita, otto anni prima di morire, neanche sessantenne.
Truman Capote fu uno dei pochi scrittori americani che seppe crearsi una potente immagine mediatica fondata sull’anticonformismo e l’irriverenza, sfruttando al meglio la conoscenza dei massimi vip dell’epoca per tessere una trama fitta di scandali a tavolino e calcolati scoop in cui la dichiarata omosessualità non fece che incendiare le polveri.

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Truman Streckfus Persons nacque a New Orleans nel 1924; già a dieci anni scriveva racconti e il primo, ‘Il vecchio signor Busybody’ pubblicato a quell’età su una rivistina del Registro dell’Editoria di Mobile, fu censurato per metà poiché conteneva rivelazioni criptate sulle losche attività dei vicini di casa. Esordio col botto, nel 1948, grazie al primo romanzo ‘Altre voci, altre stanze‘, annunciato quattro anni prima dalla vittoria del premio letterario ‘O’Henry’ per l’inquietante racconto ‘Myriam‘ su una vedova che incontra al cinema una bimba fantasma sua omonima, inserito poi nella raccolta ‘Un albero di notte e altre storie‘. Facile riconoscere nel personaggio di Randolph, cugino narcisista ed effemminato del protagonista Joel di ‘Altre voci, altre stanze’, un riflesso specchiato di Capote stesso. Qualche critico insinuò che il successo del libro fu dovuto in gran parte alla splendida foto di Henry Cartier-Bresson in quarta di copertina col volto dello scrittore.

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Seguì nel ’51 il romanzo autobiografico ‘L’arpa erbosa‘ sulla sua infanzia nel Sud: due zitelle premurose, Verena e Dolly, raccontano al piccolo Truman abbandonato dalla madre che il fruscio udibile nel bosco è in realtà un’arpa d’erba che racconta la storia dei defunti un tempo abitanti della collina. Ci fu anche una versione teatrale, curata da Capote stesso, ma fu un flop.
Il successo planetario arriva con l’adattamento cinematografico di Blake Edwards del racconto lungo ‘Colazione da Tiffany‘, tre anni dopo la pubblicazione che avvenne nel 1958: la leggendaria Holly Golightly interpretata da un’eterea Audrey Hepburn sulle note eterne di un’oscarizzata ‘Moon River’ incarnò alla perfezione la quintessenza femminile degli anni ’50: fili di perle come se piovesse, vestitini bianchi e neri con vita sottile, cappelli a tesa larga, guanti lunghi di seta. Il tutto con un’eleganza sbarazzina che fece storia. È la vera celebrità per Truman: il suo nome gira nel jet-set che conta davvero e si racconta che vari vip volevano a cena Capote convinti che si trattasse del presidente Harry Truman.

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Il romanzo che seguì, ‘A sangue freddo‘, primo esempio di ‘non-fiction novel’, un nuovo genere letterario che sarebbe diventato la docu-fiction, il romanzo verità, un incrocio tra narrativa e giornalismo, finzione letteraria tratta però da fatti reali e documentati, è il soggetto del film ‘Truman Capote – A sangue freddo’ di Bennett Miller che esce sabato 18 febbraio nelle sale italiane, con un Philip Seymour Hoffman da Oscar nel ruolo del protagonista. Il libro è ispirato a un tragico fatto di cronaca, il massacro di una famiglia di agricoltori nel Kansas da parte di due killer, Perry Smith e Dick Hickock, che turbò così tanto lo scrittore («Non mi riprenderò mai da questa storia», confessò Capote) da far passare ben quattordici anni prima della pubblicazione del successivo, ‘Musica per camaleonti‘, raccolta eterogenea di racconti e cronache, preludio di un’opera gargantuesca dal respiro proustiano che non vide mai la luce, ‘Preghiere esaudite‘, di cui restano quattro parti incompiute.

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Ma proprio nel racconto Capote sviluppò la forma letteraria più confacente al suo stile efficacemente descrittivo: i suoi ritratti faulkneriani e gotici (soprattutto di bimbe depositarie di segreti allarmanti, dalla sfortunata Miss Bobbitt investita a dieci anni da una corriera nel racconto omonimo, alla torturata Ottilie a caccia di rispetto e amore in ‘La casa dei fiori‘), le sue radiografie spesso impietose di vip come Marilyn Monroe di cui svela la fragilità in ‘Una bellissima bambina‘, cronaca di una giornata d’aprile trascorsa in sua compagnia, o un inedito Marlon Brando nell’intervista-confessione ‘Il duca e il suo dominio‘, realizzata nel 1957 durante le riprese di ‘Sayonara’, in cui Truman fa confessare a Marlon il difficile rapporto con la madre alcolizzata (lo stesso attore, infuriato dopo averla letta, definì Capote ‘un piccolo bastardo’). Scopriremo presto ulteriori particolari sulla vicenda dal libro ‘Brando Unzipped’ di Darwin Porter, in uscita in Usa e Gran Bretagna, in cui si racconta che con l’eccentrica mamma Dorothy ci dormiva pure e col fidanzato storico Wally Cox si faceva fotografare mentre gli praticava sesso orale, per non parlare delle storielle con Burt Lancaster, Montgomery Clift, Tyrone Power, James Dean e Laurence Olivier.
Ma tornando a Truman, indubbiamente la protagonista del racconto che dà il titolo a ‘Musica per camaleonti’, la vecchia pianista aristocratica della Martinica che esegue sonate di Mozart per i camaleonti che abitano sulla sua terrazza, non è che Capote stesso, snob inguaribile all’inesausta ricerca di ammirazione e stima da parte degli amici e del suo folto pubblico. In ‘Barbagli‘, un bambino di otto anni è frustrato da un problema più grande di lui: «Avevo un segreto, qualcosa che mi turbava, una cosa che in realtà mi tormentava profondamente, una cosa che non avrei mai osato dire a nessuno, proprio a nessuno… Non avevo idea di quale poteva essere la reazione, era una cosa così strana quella che mi angustiava da quasi due anni. Non avevo mai sentito parlare di qualcuno che avesse un problema come quello che travagliava me. Da una parte sembrava una sciocchezza; dall’altra…». L’omosessualità di Capote fu sempre un vessillo esibito come arma rivendicatrice di una diversità ostentata e pavoneggiata. «Sono un alcolizzato. Sono un tossicomane. Sono un omosessuale. Sono un genio». Questo era il suo biglietto da visita.
All’inizio degli anni Settanta finì l’intensa relazione col ballerino e scrittore Jack Dunphy e Truman si lasciò andare inforcando una serie di tragici amori a senso unico, logoranti e deprimenti, che contribuirono non poco alla sua discesa verso le maglie sempre più strette dell’alcolismo. Ma la mondanità non mancava mai, come le sue crociere in giro per il mondo, e nel 1978, in un talk-show, annunciò di volersi suicidare definendosi «il fenomeno da baraccone degli Anni Settanta».
In Italia veniva spesso, soprattutto in Sicilia, a Taormina (la prima volta nel 1951), in quel paradiso gay dove anche Tennessee Williams e il pittore Henry Faulkner con l’inseparabile capretta Betty passavano le loro estati e dove Capote confessò di essere «una prostituta da bar: tutti mi hanno avuto, uomini e cagne». Pur essendoci stato per complessivi nove anni, Capote non imparò mai l’italiano. Alloggiò prima al Timeo e poi nella casetta rosa di Via Fontana Vecchia su cui campeggia una targa in marmo in memoria del soggiorno dello scrittore inglese David Herbert Lawrence. Quando lo raggiunse Jack Dunphy, si trasferì in un appartamento dei Panarello sulla rotabile per Castelmola. Di Tennessee Williams diceva: «Quello? Un omosessuale che i ragazzi se li prende in affitto per un pomeriggio». Ma proprio il suo gusto per il gossip lo portò a inimicarsi l’alta società che l’aveva accettato nelle sue corti, contribuendo a quel declino che terminò inesorabile il 25 agosto del 1984, in un albergo di Bel Air: da solo in camera, come Tennessee Williams un anno prima, imbottito di droga e alcool.

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