Lisbeth Salander, hacker bisex e vendicatrice

Arriva al cinema "Uomini che odiano le donne" di Niels Arden Oplev dal bestseller dello scomparso Stieg Larsson. Tutti stregati da Noomi Rapace nei panni dark dell'eroina bisex Lisbeth Salander.

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Ognuna delle quattro parti del fluviale, immaginifico, perturbante romanzo di Stieg Larsson Uomini che odiano le donne (Marsilio) inizia con una breve nota statistica sulla violenza in Svezia: il 18% delle donne al di sopra dei quindici anni è stato minacciato almeno una volta da un uomo, il 46% è stato oggetto di violenza, il 13% di violenza sessuale e il 92% di esse non ha denunciato l’aggressione alla polizia. Dati scioccanti. Secondo un rapporto di Amnesty International e delle Nazioni Unite, la condizione degli stupratori in Svezia è di "sostanziale impunità". Il cinema nordico se n’era già occupato nel vigoroso Racconti da Stoccolma di Anders Nilsson (uno dei tre episodi, tra l’altro, era gay) e torna sull’argomento di bruciante attualità nel primo, omonimo cine-capitolo della trilogia Millennium, caso editoriale da oltre dieci milioni di copie vendute nel mondo, per la regia del danese Niels Arden Oplev, pupillo della scuderia Zentropa di Lars Von Trier già premiato dai risultati al botteghino scandinavo: 40 milioni di euro nelle prime due settimane di programmazione.

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L’autore del giallo più amato degli ultimi anni, l’acclamato Stieg Larsson, giornalista esperto di organizzazioni di estrema destra, consulente di Scotland Yard e fondatore della rivista antirazzista Expo, non potrà invece vederlo né ha potuto godere dell’eclatante successo letterario perché è morto d’infarto nel 2004, a soli cinquant’anni, dopo aver consegnato all’editore le ultime bozze della trilogia.

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E dire che Uomini che odiano le donne è un romanzo alquanto cupo, intricato, così preciso nei dettagli da essere quasi pedante ma regala al lettore uno dei più affascinanti e complessi personaggi femminili della letteratura contemporanea: l’hacker indomabile Lisbeth Salander, quasi una "punkabbestia" bisex tutta piercing e tatuaggi, "butch" introversa considerata malata di mente e affiancata da un avvocato tutore rivelatosi un sadico brutale che le infierisce abusi indicibili (le violenze subite da Lisbeth dall’età di dodici anni, elemento chiave del thriller, sono al centro degli altri due romanzi). Sarà lei a fornire un aiuto fondamentale all’inchiesta sulla sparizione, quarant’anni prima, di Harriet Vanger, erede di un potente clan minato da dissidi interni. L’industriale ottantaduenne Henrik Vanger, zio dell’amatissima ragazza, riceve tutti gli anni per il suo genetliaco un fiore secco incorniciato da colui che ritiene il responsabile del presunto omicidio e commissiona l’indagine a Mikael Blomkvist, un giornalista di economia della rivista Millennium, specializzata in reportage di denuncia e cofinanziata dal fotografo e graphic designer gay Christer Malm, divenuto una celebrità grazie al fidanzamento con Arnold Magnusson, un ex attore risorto in tv grazie a un noto reality show.

Il lesbismo della protagonista viene rivelato nel film quando Mikael (Michael Nyqvist), per conoscerla, si reca a casa sua e la sorprende a letto con la compagna asiatica ma non viene approfondito, al contrario del lato etero della sua sessualità, che la porta a legarsi a Mikael e a femminilizzarsi progressivamente.

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Il regista non poteva fare scelta migliore nell’assegnare il ruolo dell’eroina dark Lisbeth a Noomi Rapace, neo-mamma quasi trentenne abilissima nel calarsi in una personalità forte e contraddittoria come quella della Salander: «È una donna che fa paura perfino a me che l’ho interpretata, si fa giustizia da sola.» ha dichiarato Noomi Rapace alla presentazione romana del film. «Non è la cosa giusta, ma alle violenze è meglio reagire che restare zitti. Le donne mi hanno detto brava, gliel’hai fatta pagare a quel porco. Ho ignorato le pressioni per le aspettative, ho cercato Lisbeth dentro di me. Nel libro lei è descritta più come una paladina d’azione: è anoressica ma corre come un centometrista, è minuta ma capace di combattere come un uomo, è brutta ma piace agli uomini. Non c’è grande realismo. Ho puntato sulla credibilità: non sono dimagrita per diventare un giunco anoressico pur di somigliarle, non sarebbe stata la strada giusta. Ho preso lezioni di kickboxing per essere più forte, ho imparato a guidare la moto. Lisbeth è una figura più complessa di come appare nel libro ma anche più comprensibile. E leggermente più mascolina».

I due seguiti di Uomini che odiano le donne sono già stati girati da un altro regista, Daniel Alfredson, e il capitolo due, La ragazza che giocava con il fuoco è in predicato per l’autunnale Festival di Roma. L’immenso stuolo di ultrafan è già in fermento!

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