Little Men, quella magica sospensione fra infanzia e adolescenza

Il delicato ritratto di due ragazzini firmato da Ira Sachs brilla per misura e garbo.

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I bambini ci guardano. E ci giudicano. È un delicato, garbato, sussurrato ritratto di quella magica sospensione tra l’infanzia e l’adolescenza, il cine-romanzo di formazione (all’acquerello) Little Men di Ira Sachs, sensibile regista americano già Teddy Award per il verace Keep The Lights On. Qui torna all’analisi intima di un nucleo famigliare nello stile del precedente I toni dell’amore (Love Is Strange) ma questa volta dal punto di vista dei più piccoli, due ragazzini intorno ai tredici anni, la cui amicizia è messa in discussione dagli attriti fra le rispettive famiglie: Jake (Theo Taplitz, assai calibrato) è introverso e apparentemente fragile, forse gay, appassionato di arte figurative, mentre il suo amichetto Tony (Michael Barbieri, una vera rivelazione, a tratti posseduto da un’empatica affinità cinegenica che ricorda il primissimo Pacino) è più sbruffoncello e dinisibito, frequenta un corso di recitazione tenendo testa al carismatico docente vistosamente omosessuale e cerca di imporre la sua personalità dimostrando una sicurezza di sé più ‘costruita’ che reale.

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I due si avvicinano, si ‘annusano’, si frequentano, si aiutano nello schivare il bullismo dominante a scuola e cercano di attraversare insieme quella complessa fase di formazione della coscienza di sé che Ira Sachs riesce a rendere sullo schermo, con un tratto paterno e non paternalistico, quasi zavattiniano, non indugiante nel didattico, a tratti persino poetico (la bellissima scena del ‘passaggio di consegne’ nel salotto, in cui Jake sembra comportarsi come il vero padre di entrambi, capace di fornire la soluzione più semplice ed efficace del problema famigliare). Sì, perché i due cerbiattini imberbi rischiano la separazione poiché i genitori di Jake hanno bisticciato con la madre di Tony, una sarta cilena – la bravissima Paulina Garcia, dolente al punto giusto – che vorrebbero far sloggiare dall’appartamento/atelier a piano terra, di loro proprietà, nel palazzo dove sono andati a vivere in seguito alla morte del nonno.

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Non si può non pensare a una particolare attenzione per quell’attitudine genitoriale che Ira Sachs ha assunto da quando ha avuto due splendidi figli col marito pittore Boris Torres, di origini ecuadoriane (la passione per la pittura è un elemento che ritorna anche in I toni dell’amore).
Al contrario di tanta produzione hollywoodiana in cui il mestiere dell’artista è banalmente associato a lusso smodato e frequentazioni top, in Little Men si restituisce la realtà di un’ambiente molto più colpito dalla crisi di quanto venga fuori da certo ‘facile’ cinema mainstream: senza farne una commiserevole vittima, si evidenzia l’oggettiva penuria di danaro che circonda Brian, il padre di Jake, drammaturgo off Broadway perennemente al verde, principale motivo del contendere, visto che affittando i locali della sartoria occupati dalla mamma di Tony la famiglia riuscirebbe a campare dignitosamente. Brian è interpretato con giustezza di modi dal versatile Greg Kinnear che ricordiamo nominato all’Oscar per il ruolo del pittore gay nel drammatico Qualcosa è cambiato di James L. Brooks.

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In un cameo un po’ sacrificato ritroviamo anche Alfred Molina, l’attempato sposo omosessuale de I toni dell’amore: avremmo gradito gustarcelo sullo schermo un po’ più a lungo.
Little Men non ha ancora una distribuzione italiana – è stato presentato alla Berlinale nella sezione Generation KPlus dedicata a prodotti sul tema dell’adolescenza – ma la meriterebbe.

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