Lars ha parlato. Dopo quasi tre anni di silenzio stampa, dovuto a infelici battute provocatorie sul nazismo alla conferenza stampa cannense di “Melancholia” che hanno causato la sua esplusione dal festival come ‘persona non grata’, il maestro danese è salito a febbraio sul palco della Berlinale dove è stato accolto dagli applausi scroscianti per il director’s cut del suo innovativo “Nymphomaniac – Volume Uno”. Non ha detto molto, in verità: “Vorrei che gli attori venissero sul palco”. In mattinata, i giornalisti si aspettavano che interagisse con loro ma il Genio non Ingenuo non si è presentato e al photo call ha esibito una maglietta provocatoria col celebre logo della Palma d’Oro nonché la scritta incriminata. Poi, il delirio. Alla nostra domanda sui tagli e la possibilità che un film così generi dipendenza, la produttrice Louise Vesth ha intorbidito le acque, il moderatore ha cassato le risposte degli attori, Shia Labeouf si è rovesciato addosso un bicchiere d’acqua e se n’è andato irritato per una domanda sul sesso citando una frase di Cantona su pescherecci e gabbiani. Infine, sul red carpet, il divo di “Transformers” ha indossato un sacchetto di carta in testa con la scritta “Non sono più famoso” generando il delirio tra i fan in attesa: tutti i fan, visto che quasi nessuno l’ha riconosciuto. Immaginatevi i riverberi. L’incidente si direbbe superato – forse i due capitoli integrali di questa ‘opera totale’ saranno presentati proprio a Cannes – anche perché a Berlino, davanti a questo strano finto porno, il pubblico ha riso nei momenti giusti – Nymphomaniac ha un tono fortemente sarcastico – e ha persino applaudito durante l’esilarante scena del ‘parcheggio perfetto’ della protagonista Joe, sepoltura cinematografica del pregiudizio sulle donne incapaci al volante.
Ma non aspettatevi il porno: bisogna cercarlo.
L’odissea sessuale di questa donna autodiagnosticatasi ‘ninfomane’, interpretata da giovane dalla rivelazione atonale Stacy Martin e da una perfetta Charlotte Gainsbourg ferina e misteriosa, viene raccontata proprio da quest’ultima, come una Sherazade postmoderna, al professor Seligman (Stellan Skarsgård) che l’ha raccolta sanguinante in un vicolo. È costruita come una monumentale riflessione psicologica, sociologica e ginecologica sulla condizione femminile e la sottomissione nei confronti del maschio, dall’acquisizione della consapevolezza del proprio corpo nei giochi con l’amichetta B (Sophie Kennedy Clark), alla ribellione sessuale negli anni ’70, dalla scoperta del grande amore con un uomo ordinario (da giovane è il bravissimo Shia Labeouf, da adulto Michael Pas), all’elaborazione del lutto dell’amato padre medico (il fascinoso Christian Slater, mentre la madre assente è Connie Nielsen), morto giovane a causa del delirium tremens causato da un male oscuro, fino alla nascita di un figlio e alla discesa negli abissi di ossessioni feticistiche sadomaso rappresentate con rara crudezza (Jamie Bell è un raggelante master esperto di bondage e spanking, Willem Dafoe un boss quasi occultista, Mia Goth una ragazza sportiva che Joe cresce come una figlia e diventa la sua amante nonché socia criminale: la ramificazione lesbica è anticipata nei titoli di coda della prima parte). Il tutto con uno stile sorprendente definito dall’autore digressionismo, con varie sottotrame intersecate fra di loro, che si rifà allo sperimentalismo letterario di quello che è considerato il capostipite del romanzo moderno, Vita e opinioni di Tristram Shandy di Laurence Sterne: Nymphomaniac è partizionato in otto capitoli, cinque nella prima parte e tre nella seconda (la prima esce per Good Films il 3 aprile in 126 copie, la seconda il 24), ciascuno con una forma propria, dal melò al dramma in bianco e nero fino allo schermo trisecato verticalmente come nel classico Napoleone di Abel Gance. Entrambe sono censurate, la prima di una ventina di minuti – non si perde molto: qualche dettaglio genitale, digressioni sulla fisica, l’aeronautica e persino la cucina erotica (sperma e cioccolato: pare top), una splendida immagine di Odino crocifisso – mentre la seconda di ben un’ora (l’ultimo capitolo, ‘The Gun’, con accenni satanisti, in cui Joe si lega alla criminalità organizzata, è fortemente accelerato). La sceneggiatura di quasi trecento pagine è stata scritta da Von Trier in collaborazione con Vinca Wiedemann. Il più bello è Mrs. H. con una Uma Thurman da Oscar, strepitosa madre tradita che piomba in casa di Joe con tanto di figlioletti per riconquistarsi il marito in ogni modo. Ma la scena più riuscita è quella in cui la protagonista riesce a smascherare il pedofilo interpretato da Jean-Marc Barr sfruttando la sua capacità evocativa e generando un’erezione taurina; la più ridicola quella nel ristorante quando dalla vagina di Joe piovono cucchiai mentre l’elegante cameriere (Udo Kier) assiste allibito e impotente.
Nymphomaniac è soprattutto un’orgia polifonica di vita poiché non c’è nulla di pruriginoso o voyeuristico nel rappresentare senza censure l’atto sessuale (agli attori sono stati sovrapposti i genitali di controfigure porno e l’effetto realista è piuttosto impressionante) che così diventa un elemento come altri in un vertiginoso puzzle creativo che l’enfant terrible Lars Von Trier plasma poeticamente con un controllo assoluto della forma, una superficie ghiacciata che cela un vulcano d’idee, una geniale enciclopedia combinatoria alla Georges Perec con riferimenti ad altra alta letteratura (Proust, Poe, McGrath), all’arte (da Turner a Venet, da Bach ai Rammstein), alla matematica (i numeri di Fibonacci, la sezione aurea, giochi combinatori, calcolo delle probabilità, paraboloidi ellittici guizzanti) fino alle lezioni di pesca per sfiorare l’estasi in momenti visionari citazionisti in cui appaiono persino Messalina e la Grande Meretrice di Babilonia. Certo, è cinema cerebrale scevro di sentimentalismo che si può amare alla follia o detestare, ma ha talmente tanti livelli di lettura che ciascuno spettatore può ritrovare qualcosa che lo interessi: chi è Joe? Una ninfomane assediata dal mero desiderio di copulare? Una donna profondamente sola, che nell’incontro mai soddisfatto con una moltitudine di uomini cerca di scacciare la triste consapevolezza di essere sola nell’universo? O è addirittura la virago mostro, la femmina divoramaschi, il buco nero che rappresenta quella paura atavica tipica della femmina di certi maschi, ricorrente in molti film di Lars Von Trier? Joe è il bene nella prima parte e il male nella seconda? Joe è tutto questo e molto altro ancora e forse è proprio lo specchio riflettente le paure e le nevrosi del regista. “Nymphomaniac” è un opus magnum che è la summa dell’intero cinema di Von Trier e, se la sensazione dopo la prima parte è quella di un coitus interruptus, si potrebbe dire, utilizzando un’espressione provocatoria nello stile di questo film dirompente, che quando si alza dalla poltrona lo spettatore gode davvero perché Lars Von Trier gli ha scopato il cervello.
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