Poca emozione nelle cine-scorribande bisex di “On The Road”

Esangue e piatta la trasposizione cinematografica diretta da Walter Salles del romanzo cult di Jack Kerouac. Un funzionale Tom Sturridge è il gay logorroico Carlo Marx. Cameo omosex per Steve Buscemi.

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È stata davvero lunga la strada – ben 55 anni – affinché arrivasse al cinema "On The Road", romanzo fondante della Beat Generation, diario di viaggio cult scritto da Jack Kerouac in tre settimane su un unico rotolo di carta lungo 36 metri. L’autore stesso aveva subito pensato a una trasposizione cinematografica, corteggiando nientemeno che Marlon Brando per il ruolo del suo alter ego, l’inquieto Sal Paradise. Nel 1979 Francis Ford Coppola acquistò i diritti del libro proponendo il progetto a registi del calibro di Jean-Luc Godard e Gus Van Sant, ottenendo solo rifiuti. Solo nel 2004 si è trovata la quadra col regista brasiliano Walter Salles ("I diari della motocicletta") che ha impiegato cinque anni a scrivere la sceneggiatura insieme a José Rivera, portando a termine un documentario ancora inedito sulla realizzazione del film, "Looking for On The Road", per poi girarlo nei tre anni successivi con la collaborazione del doppio premio Oscar Gustavo Santaolalla ("Brokeback Mountain" e "Babel") per la colonna sonora.

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Il risultato di tanta attesa, però, è però piuttosto deludente: "On The Road" è un film poco emozionante, piatto, esangue. Le peregrinazioni ribelli in giro per gli States e in Messico dell’aspirante scrittore Sal, dell’amico ex-pregiudicato Dean e della sua mogliettina disinibita Marylou, tra promiscuità sessuale, benzedrina in fiumi d’alcool e scatenati balli al ritmo di be-bop non hanno il respiro e l’intensità del romanzo, danneggiate da un ritmo claudicante e una narrazione piuttosto monocorde che trasforma l’idea di trasgressione in una sorta di erotomania un po’ naif.
Un evidente errore di miscasting è la scelta del dimesso attore britannico Sam Riley ("Control"), troppo poco carismatico per incarnare l’esuberanza adrenalinica di Sal Paradise, sovrastato com’è dal cialtronesco Dean Moriarty interpretato – meglio – dallo statunitense Garrett Hedlund (‘Troy’). Funziona un po’ di più il côté femminile, con una Kristen Stewart (‘Twilight’) sufficientemente lasciva nei ristretti panni di Marylou, e un’azzeccata Kirsten Dunst in quelli dell’equilibrata seconda moglie di Dean, la rassegnata Camille (Carolyn nella realtà).

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Nella prima parte viene concesso uno spazio abbastanza rilevante al personaggio del gay logorroico Carlo Marx, ispirato al poeta Allen Ginsberg, il cui volto è quello belloccio dell’attore inglese Tom Sturridge ("I love Radio Rock"), funzionale al ruolo. Innamorato perdutamente di Dean, Carlo Marx viene introdotto così nel romanzo: “Quando Dean conobbe Carlo Marx successe qualcosa di formidabile. Due menti acute come quelle, si attaccarono l’una all’altra in un batter d’occhio. Due pupille penetranti guardarono dentro a due penetranti pupille: il serafico imbroglione dalla mente brillante, e il dolente imbroglione poetico dalla mente oscurata che è Carlo Marx”. Nel film si vede Carlo dare un appassionato bacio sulla bocca a Dean durante un maldestro tentativo di triangolo erotico ma il loro rapporto non viene approfondito e il personaggio di Carlo Marx praticamente sparisce nel secondo tempo. Steve Buscemi ha invece il ruolo cameo di un venditore omosessuale che accompagna Sal e Dean insieme a una coppia di sposi sulla sua Plymouth verso Denver e a Sacramento viene sodomizzato da Dean che si spaccia per marchetta mentre Sal osserva la scena dal bagno (nel romanzo l’atto sessuale resta implicito e il personaggio viene chiamato ‘il pederasta’).

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Lo scrittore gay William Burroughs, guru della tossicodipendenza, diventa Old Bull Lee e ha le fattezze di un’icona etero hollywoodiana, il fascinoso Viggo Mortensen: la sua omosessualità è occultata a favore del secondo matrimonio con l’amica Joan Vollmer che Burroughs uccise incidentalmente con un fucile (nel film diventa Jane ed è interpretata con un tocco di follia da Amy Adams).
Se si esclude qualche panorama mozzafiato e una manciata di scene riuscite, come per esempio la cena dalla madre di Sal (nel romanzo è invece la zia), l’opera di Salles non riesce a rendere sullo schermo l’aura leggendaria che si è creata intorno al manifesto beat di Kerouac anche perché il suo stile piuttosto classico mal si addice alla sregolatezza antiborghese incarnata dai protagonisti.
Si può anche non vedere.

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