Buio in sala. Una voce roca, graffiata e graffiante, riempie il silenzio del Teatro Nuovo di Torino zeppo di un migliaio di spettatori. È Dolcenera, grintoso furetto ventottenne da Scorrano (Lecce), anima probabilmente inquieta ma tosta, a inaugurare col suo inseparabile pianoforte a coda il XXI Festival Gay ‘Da Sodoma a Hollywood’. Un miniconcerto che grondava passione in cui si è potuta apprezzare l’intensa ‘Resta come sei’ dedicata a una ragazza lesbica e tratta dal suo nuovo album ‘Il popolo dei sogni’ («Ti prego, non fermare la tua gioia di vivere e d’amare quell’istinto naturale»), ma anche la vibrante ‘Com’è straordinaria la vita’ dell’ultimo Sanremo nonché un curioso rifacimento di ‘Pensiero stupendo’.
A presentare la serata un arguto Fabio Canino in forma smagliante («Torino è trendy, come il cachemire!») pronto a ricordare quante cose siano successe negli ultimi dodici mesi: «L’anno scorso sono venuto a presentare la serata di chiusura, oggi quella di apertura: è cambiato il governo, forse, ma è cambiato pure il Papa. Io l’ho visto in una chiesa di Roma con un completo rosa confetto: Barbie Papa».
Applauditissima la Presidentessa della Regione Mercedes Bresso che è salita sul palco insieme all’ex assessore Marziano Marzano, primo sostenitore del festival: «Io sono una che ha coraggio» ha esordito la Bresso. «Sono anni che vengo a questo Festival. Per Torino è un’occasione importante anche perché questo è l’anno del Pride». Caterina Guzzanti e Paola Minaccioni hanno poi presentato una fettina dello spettacolo ‘Non raccontateci Favole’ interpretando a modo loro una rilettura (a tratti divertente, ma troppo lunga) della “Sirenetta” di Andersen: «Bisognerebbe mettere molti campanili, uno sull’altro, per arrivare dal fondo fino alla superficie… ma perché campanili? Come mai ‘sta ossessione dei campanili?». È stata quindi la volta della storica – e bellissima – sigla del Festival sulle note, quest’anno, del nuovo singolo ‘Be Free’ di Valentina Gautier, anticipazione del suo album ‘Streghe’. Per proseguire sul primo leit-motiv di quest’anno, la musica, ecco il film d’apertura, l’adrenalinico rock drama Rent di Chris Columbus che esce oggi in tutt’Italia in 20 copie.
L’opera di Jonathan Larson da cui è tratto, vincitrice del Premio Pulitzer nel 1996
Continua in seconda pagina^d
L’opera di Jonathan Larson da cui è tratto, vincitrice del Premio Pulitzer nel 1996 (l’autore purtroppo non poté vederlo trasposto a teatro perché stroncato la sera prima del debutto da un aneurisma aortico), è all’ottavo posto tra gli spettacoli di Broadway più rappresentati in assoluto vantando a tutt’oggi 4000 spettacoli in 19 paesi del mondo – la versione italiana è stata prodotta dalla moglie di Pavarotti Nicoletta Mantovani – 4 Tony Awards e vari altri premi minori. È una sorta di Bohème metropolitana ambientata alla fine degli anni Ottanta nell’East Village newyorchese dove un gruppo di amici che vive nel precariato in loft dismessi e in perenne combutta con affittuari strozzini, cerca una ragione per vivere.
Il chitarrista Roger, depresso dopo il suicidio della sua fidanzata, incontra la lap-dancer eroinomane Mimì che abita al piano di sotto (Rosario Dawson, agile ballerina ma non molto espressiva) che gli dà nuovi stimoli; il suo coinquilino Mark cerca di realizzare un film documentario sul suo mondo e di venderlo; la sua ex Maureen, cantante e artista sperimentale che arriva al suo show in moto come Eddie del Rocky Horror, si è fidanzata con la giovane e gelosa Joanne; il percussionista travestito Angel trova l’amore in un bel ragazzo nero ma è ormai consumato dall’Aids.
Le belle musiche, agguerrite e stimolanti, non sono un riempitivo alla narrazione o semplicemente decorative, come di moda in molti musical contemporanei: sono la vera anima di ‘Rent’, rappresentano un modo per sfuggire all’orrore della vita sognando la perfezione di una melodia, hanno testi che inneggiano al ‘carpe diem’, a cogliere il bello nella quotidianità: in ‘Seasons of Love’ ci si chiede se la misura di un anno è la sua quantità di minuti o l’amore vissuto; nella travolgente ballata ‘No Day But Today’ lo sprone è non pensare né al passato né al futuro; in ‘La Vie Bohème’ l’elenco accumulatorio delle persone per cui vale la pena vivere comprende persino Antonioni e Kurosawa.
Le coreografie sono scatenati balli collettivi in strada, al pub, in discoteca, in metrò, persino al cimitero. Lascia senza fiato la splendida ‘Tango Maureen’, con 25 coppie di ‘danzatori dell’amore’ che si materializzano in un capannone e ballano in sincrono: “Why do we love when she’s mean? And she can be so obscene” (“Perché amiamo quando è così volgare? E lei sa essere così oscena”). Non mancano le scene suggestive (i contratti di affitto che volano dai palazzi in fuoco mentre la gente si scatena in strada) e i momenti di commozione, come le immagini di chi non c’è più che sfumano durante le riunioni del gruppo di autoaiuto tra sieropositivi o l’agonia di Angel sul letto d’ospedale: ma se si soffre, si soffre cantando, e così si soffre meno. Senza grandi velleità o pretese autoriali, ‘Rent’, coprodotto dalla Tribeca di De Niro e dalla gestazione lunga e faticosa (sette anni), è un film da vedere anche se patisce un po’ della struttura teatrale che non gli dà un gran respiro cinematografico.
Clicca qui per discutere di questo argomento nel forum Cinema.
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.