Non potrebbe uscire in un momento più propizio, questo Viola di mare firmato da Donatella Maiorca (già autrice nel 1998 di un Viol@ molto cyber, con Stefania Rocca, in nuce già vagamente lesbo), tenendo presente che solo qualche giorno fa, a Padova, due maghrebini hanno insultato una coppia di ragazze, una italiana e una brasiliana, che si scambiavano effusioni. Effusioni che si sono ripetute anche tra Valeria Solarino e Isabella Ragonese sul red carpet del quarto Festival Internazionale del Film di Roma dove il film è in concorso, e hanno subito titillato la stampa rosa italiana in cerca di scoop, dopo la giusta ‘spernacchiata’ di Clooney a una domanda scema sulla presunta omosessualità del divo gentile accompagnato da una meno gentile Elisabetta Canalis (in albergo hanno camere separate).
La storia straordinaria, basata su una vicenda reale ricostruita nel romanzo Minchia di re – Mursia Editore – firmato dal trapanese Giacomo Pilati, aveva tutte le carte in regola per stupire e coinvolgere: un amore proibito tra due donne risolute, Sara e Angela, che prende corpo sull’isola di Favignana durante lo sbarco dei Mille e diventa sorprendentemente gender, alla Boys don’t cry, in quanto Angela viene poi travestita da uomo con la complicità della famiglia per ‘sostituire’ il padre padrone nella miniera di tufo dove il lavoro scarseggia ma anche per evitare la ‘zita’, ossia il matrimonio combinato con un ragazzo che potrebbe favorire le sorti economiche della famiglia.
Parte bene Viola di mare, furente e aggressivo, anche grazie a due interpretazioni in crescendo di Valeria Solarino – perfetta – di cui la regista esplora, scruta, indaga ogni sensazione e sembra quasi di sentirne l’odore, e un’apparentemente dolce ma determinata e non mielosa Isabella Ragonese, una delle migliori attrici italiane emergenti (Tutta la vita davanti, Dieci inverni), in perfetta sintonia con l’ambiente arido e inospitale dell’isola circondata da un mare spesso agitato, in grado di evocare alla perfezione la dimensione arcaica del contesto.
Ma la Maiorca si lascia prendere la mano, esagera con la camera a mano ondivaga, azzecca il momento di passione saffica (non era facile) ma sbaglia il ritmo della scansione narrativa nell’ultima mezz’ora affastellando scene shock inutili – è svilente l’esibizione plastica dei corpi durante il concepimento, mal gestita la seduzione sprint della baronessa – per precipitare in un finale affrettato che perde in potenza espressiva perché il film diventa purtroppo fiction.
Peccato. Anche perché gli attori sono tutti in parte e danno un contributo fondamentale al risultato finale: meraviglioso il profilo alla Modigliani di Giselda Volodi che vorremmo vedere più spesso sul grande schermo mentre la superfriendly Cucinotta, anche produttrice, si ritaglia un piccolo e triste ruolo di contorno che poteva essere sviluppato meglio.
Viola di mare resta comunque uno dei film più orgogliosamente butch della storia del cinema lesbico italiano, in cui emerge quell’atteggiamento deciso, con piglio assertivo, da omosessuale ‘butch’ appunto, più ‘Benzina’ che ‘Immacolata e Concetta’, in opposizione alla visione glam ‘femme’ in stile ‘L Word’. Ma è proprio lo stile il problema principale del film, poco armonico e compatto. Valida, invece, la colonna sonora firmata Nannini che infonde energia e passione, senza tregua.
La "Viola di mare" del titolo è un bizzarro pesce detto anche "Donzella" che nasce femmina e dopo aver depositato le uova diventa maschio: il film poteva essere un fiore prezioso ma purtroppo nasce rosa rossa e diventa un pesce d’acqua salata che rischia di sfuggire a uno studio approfondito pur di non venire catturato.
Le ragazze potrebbero comunque amarlo, e col tempo magari farlo diventare un piccolo cult lesbo: andate a vederlo.
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