Raramente al cinema la prostituzione maschile è stata rappresentata in maniera così cruda, diretta, senza sconti. Stiamo parlando del notevole dramma Sauvage di Camille Vidal-Naquet presentato al decimo festival queer In & Out di Nizza dopo aver conquistato alla prestigiosa Semaine de la Critique di Cannes il premio della Fondazione Louis Roederer andato all’attore protagonista, la “rivelazione” Félix Maritaud, apparso in ruoli minori in 120 BPM e Un couteau dans le coeur.
Maritaud interpreta con convinto trasporto Léo, prostituto 22enne che vi vende per pochi euro al Bois de Boulogne, enorme cruising a cielo aperto che borda il sedicesimo arrondissement della città di Parigi.
Di lui e della sua famiglia non sappiamo praticamente nulla: Léo è solo, una monade atomizzata senza radici, e l’unico che sembra essergli amico è l’arabo Ahd (Eric Bernard) che si stupisce del fatto che Léo si lasci baciare dai clienti; Ahd vorrebbe in realtà lasciare il marciapiede anche se si lega a un signore borghese più anziano.
Tutto ciò che di solito si evita per ‘ammorbidire’ la condizione del prostituto di strada – vedi certi lirismi del primo Van Sant, come Mala Noche o Belli e dannati, oppure il Téchiné di J’embrasse pas – qui viene mostrato senza reticenze, con uno stile immediatista che ricorda i fratelli Dardenne, molta camera a mano nervosa e aderenze al corpo del protagonista: il sesso ripugnante con clienti laidi e malconci, la difficoltà di addormentarsi sul marciapiede, le malattie tra le quali la tubercolosi che prendono piede in un corpo segnato dalla difficoltà di una vita simile.
Ancora una volta – questa sì che è una vera tendenza del cinema lgbt contemporaneo – il corpo è il vero protagonista del film: sondato, esplorato, ricostruito nelle piaghe che riflettono il disagio dell’anima (terribile la scena in cui la coppia gay umilia Léo con un enorme dildo fino a farlo sanguinare). Estrema anche la sequenza in cui Léo, con la complicità di un ‘collega’, s’inietta un potente sonnifero nell’uretra per fare addormentare un cliente a cui pratica un blowjob e così derubarlo. Alla fine risulta quasi più disturbante immaginare ciò che pratica ‘Il pianista’, un cliente appassionato di lesionismo e sanguinamenti, che non vederlo esplicitamente.
Riguardo al fatto riscontrato da uno spettatore in sala che non si parla di prevenzione delle malattie sessuali nel film, nonostante le molte scene di visite mediche, il regista presente in sala ha così commentato: “Alla fine trattano Léo come un animale domestico, gestiscono la sua salute alle sue spalle, ma lui prova la vera libertà, quella di scegliere. È qualcosa di molto violento. Ma non ha paura. Riguardo al fatto che non si parla di prevenzione, avevamo girato la scena in una delle visite mediche in cui si faceva il test dell’Aids ma poi non è stata montata”.
Sauvage non ha ancora una distribuzione italiana ma meriterebbe di approdare nel circuito tradizionale.
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