Scordiamoci l’abbuffata di film gay dell’anno scorso. Per la sua 63esima edizione (12-23 maggio), il Festival di Cannes sembra sulla carta piuttosto etero e anche un po’ macho, con in apertura un rispolverato "Robin Hood" di Ridley Scott, l’eroe in calzamaglia che ruba ai ricchi per donare ai poveri, interpretato questa volta da Russell Crowe. Sarà affiancato dall’eterea Cate Blanchett nel ruolo di Lady Marian. Il concorso presenta poca America (solo uno statunitense, l’action thriller "Fair game" di Doug Liman, e il messicano Iarritu con Javier Bardem) e molta Asia (ben sei titoli di cui due russi). Tra gli autori doc anche Mike Leigh, Abbas Kiarostami, Takeshi Kitano e Bertrand Tavernier. L’Italia corre per la Palma d’Oro col drammatico "La nostra vita" di Daniele Luchetti su un operaio edile (Elio Germano) che resta vedovo con tre figli e si dà al malaffare per garantire prosperità alla famiglia in lutto. Nel cast anche Raoul Bova e Luca Zingaretti.
L’impronunciabile autore thailandese Apichatpong Weerasethakul, regista dello strapremiato dramma gay "Tropical Malady", dedicherà i suoi ritmi contemplativi e ipnotici a un vecchietto acciaccato da problemi renali in "Zio Boonmee" può rievocare le sue vite passate.
Gli unici due titoli dichiaratamente queer li troviamo nelle sezioni laterali: l’atteso ritorno di Gregg Araki s’intitola "Kaboom" ed è inserito nelle proiezioni di mezzanotte. Presentato come una commedia thriller ad alto contenuto lisergico, ruota intorno a tematiche decisamente famigliari per l’autore nippo-americano di "Doom Generation" e "Mysterious Skin": il diciottenne bisex, Smith (la promessa Thomas Dekker), è convinto di essere vittima di un complotto ordito dai compagni di college dopo aver divorato alcuni biscotti psicotropi a un movimentato party. Ritiene persino di essere stato testimone di un omicidio commesso da una fantomatica ragazza dai capelli rossi, protagonista di un suo incubo ricorrente. Rivedremo il suo attore feticcio James Duval attorniato da Roxane Mesquida, Kelly Lynch e Juno Temple.
Il giovane talento canadese Xavier Dolan, che l’anno scorso sbancò la Quinzaine con l’intimista "Jai tu ma mre", è promosso in "Un certain regard" con un fresco e romantico dramma comico su Francis e Marie (lo stesso Dolan e Monia Chokri), entrambi invaghiti dello stesso uomo, il biondo michelangiolesco Nicolas (Niels Schneider). Intraprenderanno un duello amoroso senza esclusione di colpi – e di corpi – per sedurre l’oggetto del proprio desiderio ossessivo.
La sezione solitamente più gay-friendly, la Quinzaine, quest’anno presenta un unico titolo dalle suggestioni omosex, ossia l’argentino "La mirada invisible" (Locchio invisibile) di Diego Lerman, autore del lesbico "Tan de repente", su un’assistente scolastica troppo voyeuse e ossessionata dalla repressione di qualsiasi atto vagamente trasgressivo nella Buenos Aires del 1982.
Un po’ di leggerezza la ritroveremo fuori concorso grazie al nuovo Woody Allen, "You Will Meet a Tall Dark Stranger" (Incontrerai uno straniero alto e tenebroso) con Naomi Watts, Antonio Banderas e Anthony Hopkins su una famiglia disfunzionale e i suoi tentativi di instaurare un rapporto civile tra i vari componenti.
Nella giuria capitanata dal darkeggiante Tim Burton anche due italiani: l’attrice Giovanna Mezzogiorno e il direttore del Museo del Cinema torinese Alberto Barbera.
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