Sono passati vent’anni dal folgorante esordio “Kids” che aveva avuto l’onore della presenza in concorso a Cannes, ma il cuore pulsante della ricerca cinematografica di Larry Clark, fotografo e regista oggi settantaduenne, è rimasto sostanzialmente invariato: adolescenti ribelli, insofferenti al sistema, annoiati e persi fra droga e prostituzione (“Bully”, “Another day in Paradise”, “Ken Park”). Abbiamo visto in Francia il suo nuovo lavoro “The Smell of Us” (“Il nostro odore”) che era stato presentato alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia e ha diviso nettamente la critica transalpina: Libération e Première l’hanno stroncato mentre i Cahiers du Cinéma, entusiasti, gli hanno dedicato la copertina e uno speciale di ben trenta pagine. Noi riteniamo che lo stile del film sia più interessante di ciò che racconta, la consueta provocazione nichilista che gira un po’ a vuoto su adolescenti escort e tossicomani questa volta parigini, orbitanti intorno al Palais de Tokyo e appassionati di skateboard come in “Ken Park” (sono stati reclutati dal regista intorno al Parc de Bercy).
Elaborando immagini digitali ‘storpiate’ col datamoshing e pixellature a mosaico attraverso videocamere a bassa definizione e smartphones, il regista cerca una propria estetica che può ricordare in alcuni momenti il Gus Van Sant più sperimentale – l’accostamento con “Paranoid Park” è inevitabile – ma senza raggiungerne il lirismo espressivo. Clark si ritaglia due ruoli cameo: quello del barbone Rockstar che all’inizio del film viene utilizzato come ostacolo da saltare da parte degli skater e di un anziano feticista (nella scena più disturbante slappa in primo piano le dita sozze dei piedi del protagonista Math). La macchina da presa indugia adorante sui visi narcolettici, sulla pelle dei giovani prostituti, sui peli pubici sbuffanti; cerca di scuotere lo spettatore – ma per questo siamo purtroppo fuori tempo massimo – con sodomie violente e preservativi colmi dati in cambio di ingressi in discoteca. Per la prima volta nel suo cinema, il regista contrappone all’anarchia punk dei suoi giovani sbandati lo sguardo di anziani dolenti alla disperata ricerca di un sussulto vitale, come quello dell’intellettuale gay il cui appartamento viene devastato brutalmente alla stregua di “Eastern Boys”. C’è anche un personaggio a tutto tondo dichiaratamente omosessuale, il timido JP, interpretato da Hugo Behar-Thinières, il quale ha svelato ai Cahiers du Cinéma condizioni lavorative non facili con frequenti litigi e incomprensioni sul set.
JP ha un rapporto conflittuale col padre ed è innamorato del suo inseparabile amico Math (il caravaggesco Lukas Ionesco), adora annusarne il sesso mentre costui dorme, ma il sentimento non ricambiato – Math gli ricorda che “va a letto con gli uomini solo per denaro” – avrà conseguenze tragiche. L’unica scena realmente emozionante è però l’apparizione della veterana Dominique Frot nel ruolo della madre di Math in pieno delirio e ai confini dell’incesto. Piuttosto curata la colonna sonora che miscela abilmente il rock firmato Jonathan Velasquez col jazz di Cab Calloway.
“The Smell of Us” non ha ancora una distribuzione italiana ma potremo probabilmente vederlo circuitare nei festival queer primaverili.
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