“Venere Nera”, la diversità trasformata in osceno spettacolo

Emoziona e fa riflettere il nuovo film di Kechiche sulla storia vera di una boscimana sfruttata nell'800 come fenomeno da baraccone a Londra e Parigi. Straordinaria la protagonista Yahima Torres.

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È tratto da una storia vera il nuovo, perturbante film di Abdellatif Kechiche, autore tunisino rivelazione col vivido e pluripremiato ‘Cous cous’. La "Venere Nera" del titolo è Saartjie (ossia ‘piccola Sara’) Baartman, una giovane di etnia boscimane della tribù sudafricana khoikhoi detta anche ‘ottentotta’ dall’olandese ‘hottentot’ che significa ‘balbuziente’ per i particolari suoni ripetuti nel suo idioma. Esibita a inizio ‘800 come una fiera da circo, per l’ipertrofia eccezionale di sesso e glutei, nei freak show londinesi per poi passare ai salotti libertini e alla prostituzione nei bordelli della Parigi più debosciata, Saartije muore nel 1815 a soli 25 anni probabilmente per tisi o sifilide. 

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Affidandosi alla forte e istintuale presenza scenica della straordinaria protagonista Yahima Torres, attrice non professionista cubana di origine africana, il regista firma un toccante apologo sulla diversità incentrando il discorso sull’abuso voyeurista e tattile a cui è sottoposto il martoriato corpo di Saartije: costantemente osservato, manipolato, privato di dignità da un bieco razzismo che, sembra suggerirci Kechiche, resiste nel tempo, oggi come allora (e lo spettatore è a suo modo complice, sentendosi in talune scene quasi in colpa nell’assistere impotente all’abominio di sopraffazione).

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È puro horror l’oscena cavalcata di un’anziana seminuda sul dorso dolente di Saartije alla pari del pianto liberatorio della protagonista che svela la crudeltà assoluta della rappresentazione: il pubblico indignato non vuole più assistere, non si diverte più. Come se la differenza naturale diventasse il pretesto per amplificare a dismisura la distanza dalla cosiddetta ‘norma’ ingabbiando nella categoria del mostruoso il diverso da sé, reso rassicurante attraverso l’umiliazione garantita dal pubblico ludibrio.

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Così, anche l’attenzione clinica dei naturalisti darwiniani, capeggiati dal luminare Georges Cuvier, bramosi nella loro curiosità di analizzare e catalogare scientificamente un’eccentricità che per loro è più bestiale che umana (otterranno il corpo di Saartje di cui verrà creato un calco in gesso mentre scheletro, cervello e genitali saranno esposti al Musée de l’Homme di Parigi) non è meno morbosa e lesiva di una dignità ormai calpestata. E sarà solo controproducente il sussulto di orgoglio della povera Saartije quando si rifiuta di togliere il perizoma per mostrare agli illustri positivisti il cosiddetto ‘grembiule ottentotto’, ossia il sesso dalle dimensioni eccezionali, simbolico atto di ribellione in grado di esprimere alla perfezione un j’accuse senza tempo alle prevaricazioni schiaviste profondamente radicate nella società occidentale. 

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L’abilità del regista consiste anche nel rendere sapientemente le necessarie sfumature psicologiche dei personaggi, primi fra tutti il ‘padrone’ domatore Réaux (l’ottimo attore ‘dardenniano’ Olivier Gourmet) e l’imbonitore Caezar (Andre Jacobs) che escono indenni da un processo instillando il dubbio che la Venere Nera fosse assolutamente consapevole del ‘gioco’ perverso a cui era sottoposta e lo accettasse d’intesa con loro in cambio di un adeguato compenso.
Anche se alcune scene dall’impostazione teatrale avrebbero giovato di qualche taglio qui e là – la versione italiana dura 139 minuti, comunque troppi – la forza espressiva di "Venere Nera" non lascia indifferenti e semina una significativa traccia di riflessione una volta usciti dalla sala.
Da vedere.

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