Per ora il suo nome non dice molto agli spettatori italiani, eppure dopo il successo di pubblico e critica del suo atteso biopic Colette con Keira Knightley, in uscita da noi il 6 dicembre per Vision Distribution, potrebbe davvero fare il grande salto. Stiamo parlando di Wash Westmoreland, vedovo dell’inseparabile Richard Glatzer perso per sclerosi laterale amiotrofica nel 2015.
La vita di Westmoreland è costellata di eccentriche curiosità: il suo vero nome è Paul e il bizzarro Wash viene dal fatto che era solito frequentare il salone di parrucchiere dell’inglese Leeds dove nacque nel 1966 e dove la madre lavorava come receptionist. All’Università era intenzionato a seguire le orme del padre ingegnere iscrivendosi a scienze ma finì nelle spire di una setta controversa, ‘The Children of God’, che praticava sesso libero “per dimostrare l’amore di Dio” sotto il nome di ‘flirty fishing’. Liberatosi dalle pressioni della setta, Wash studia Scienze Politiche in Inghilterra e poi giapponese a Fukuoka, per approdare nel 1992 negli Usa, prima a New York e New Orleans, poi a Los Angeles dove mette radici.
Qui si sviluppa la sua passione per la pornografia gay: lavora come assistente operatore per il re dell’underground queer, Bruce LaBruce, sul set del cult Hustler White e passa quindi alla BIG Video dove firma varie regie di film hard con lo pseudonimo Wash West.
Il suo talento registico si fa già notare e Wash vince vari premi del settore, tra cui cinque Grabby Awards e altrettanti GayVN Awards per Naked Highways. Passa quindi alla All Worlds Video dove conquista ancora riconoscimenti per il porno-thriller Animus e per l’horror faustiano Devil is a bottom, entrambi con Blake Harper (il celebre attore canadese ora infermiere). Cambia ancora una volta nome: nell’ambiente dell’hard Wash si fa chiamare Bud Light.
Nel 2001 passa al cinema tradizionale realizzando un progetto che è un po’ la summa dei suoi anni di lavoro nell’ambiente porno, l’esilarante commedia The Fluffer sulla figura dell’”aiutante” a bordo set che serve a garantire l’erezione agli attori. Codirige colui che sarebbe diventato il grande amore della vita, il futuro marito Richard Glatzer. Seguono altri lavori a luci rosse (anzi, arcobaleno) che sono soprattutto parodie di classici tra cui l’horror The Ring che diventa The Hole e Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, trasfigurato in The Seven Deadly Sins: Gluttony.
Negli anni successivi si dedica soprattutto al documentario, da Totally Gay sulla cultura queer a Gay Republicans su un gruppo di sostenitori omosessuali cristiani di George W. Bush.
Il successo arriva nel 2006 con quella deliziosa commedia sulla tolleranza che è Non è peccato – La Quinceañera, codiretta con Glatzer. La storia di due giovani messicani cacciati di casa, una perché incinta, l’altro perché gay, incassa due milioni e mezzo di dollari (ne costò 400.000), vince il Sundance e approda in mezzo mondo facendo conoscere la coppia di registi gay.
Due anni dopo realizza Pedro, intenso biopic sull’attivista gay Pedro Zamora, su sceneggiatura del futuro Premio Oscar Dustin Lance Black.
Nel settembre 2013 realizza il suo sogno d’amore sposando Richard Glatzer che sarebbe mancato però solo due anni dopo. L’anno seguente al matrimonio dirige col marito quello che sarebbe diventato il film-testamento di quest’ultimo, il dolente Still Alice sull’Alzheimer precoce. La protagonista Julianne Moore vince finalmente l’Oscar come miglior attrice protagonista.
Adesso è la volta di Colette, visto da alcuni critici come un serio contendente agli Academy Awards. Sotto lo spirito vigile di Richard, che mai lascerà il suo amato Wash.
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