Yves Saint-Laurent, le mode passano ma lo stile, e l’amore, restano

Esce domani grazie a Lucky Red l'elegante film di Lespert sul gigante golden della moda francese e sull'amore fortificante Pierre Bergè. Niney e Gallienne si adattano come un guanto ai personaggi.

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“La luce che emana un essere che ama è incomparabile”. È un piccolo appunto, autografo, di Yves Saint Laurent che si può leggere tra le pagine dell’album doré dedicatogli da David Teboul. Sotto, come preso da fervore creativo, si leggono altre frasi: le prime due in corpo più grande, la terza quasi vergata a piuma: “Solo l’amore preserva la bellezza di un essere. L’amore è il migliore rimedio all’invecchiamento. L’amore vi dona le ali che la vita si preoccupa di tagliare”.

Era un grande artista torturato, Yves Saint Laurent, di cui esce domani grazie a Lucky Red l’omonimo film di Jalil Lespert, attore francese folgorato sulla via di Damasco dal demone della regia. Un uomo, Yves Saint Laurent, pienamente consapevole del suo talento potentissimo, del genio che definiva “l’infanzia ritrovata”, che scriveva quasi di nascosto “le più belle vittorie sono quelle che si fanno per se stessi” e già a quattordici anni dichiarava che voleva sapere che il suo nome un giorno sarebbe brillato “in lettere d’oro sugli Champs Elysées”.

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Forse la sua citazione più celebre resta ‘Le mode passano ma lo stile è eterno’, ma ce ne sono molte altre – “un bel vestito è un passaporto per la felicità”, “la moda è una festa” – che rendono con chiarezza quale grande compito questo gigante della moda nato a Orano – diceva di essere un ‘francese d’Algeria” – l’avrebbe atteso nella maturazione sartoriale datagli dall’imprinting unico di Dior, lasciato per fondare nel 1962 la casa di moda che era “l’enterrement de vie”, ossia l’addio al celibato, da festeggiare prima di dedicarsi al sogno della moda esclusivamente col suo amore fortificante, profondo, naturale: Pierre Bergè. Sì, perché Yves Saint Laurent ricordava sempre che “non si può bruciarsi le ali sui fuochi della moda”. La moda, il fuoco sacro. Eppure per lui vestire una donna era un celare, un mistificare, un dimenticare qualcosa: “Niente è più bello di un corpo nudo. Il più bel vestito che possa vestire una donna sono le braccia dell’uomo che ama”.

Nella rispettosa, elegante, ben fatta opera terza di Lespert, non una semplice sfilata di episodi autobiografici nella vita piuttosto tumultuosa di Yves Saint Laurent – cicloni amorosi, la droga falsa amica, il tumore al cervello che lo spegne a 72 anni (le ceneri sono conservate nell’esotico giardino di Majorelle, a Marrakesh, dove Yves e Pierre avevano una proprietà e condividevano le gioie di amori africani) – si adattano ai propri personaggi, come due guanti d’alta sartoria, i bravi attori della Comédie Française che interpretano rispettivamente Saint Laurent e Bergé: un palpitante Pierre Niney e un calibrato Guillaume Gallienne, reduce dal grande successo di pubblico e critica, in patria, di “Les garçons et Guillaume à table”.

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Sono infatti entrambi molto abili – forse più Niney, a dire il vero – a restituire tutta la complessità di un rapporto amoroso vulcanico ma non esclusivo, ben spiegato proprio da Yves Saint Laurent: “Io sono quello che si dice un ‘homme à chien’. Cioè vivo completamente con lui. La notte e il giorno […] Cocteau diceva che ‘la saggezza è di essere, in alcuni momenti, folli’. La mia fantasia può essere tenera, raffinata, poetica o barbara, selvaggia. Infrangendo tutte le regole, acciuffo allora l’anima della strada, dei fatti di tutti i giorni. Trasmetto i miei fantasmi, li adatto al mio mestiere, li rendo accessibili innanzitutto al corpo di una donna”.

C’è chi potrebbe obiettare che nel film manca quello che potremmo definire il “côté arrière” della loro omosessualità, ovvero retroscena e approndimenti psicologici su come potevano gestire una passione così dirompente con un’animalità pulsionale che si intuisce solo in un paio di scene: ma si può immaginare che il rispetto nei confronti del mito abbia fatto preferire rivolgersi a un pubblico decisamente più ampio e soprattutto femminile.

“È soprattutto il corpo della donna che trionfa – spiega Yves Saint Laurent -, che vince, e io mi nascondo dietro di lei al fine di non tradire la verità del mio mestiere, la mia verità profonda che è l’umiltà delle mie idee dietro la realtà di un corpo di donna”.

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