Frank Uwe Laysiepen (Solingen, in Germania, 1943), detto Ulay, fotografo e performer, è mancato ieri, 2 Marzo 2020 presso la sua casa di Lubjana.
Laysiepen è probabilmente è conosciuto dal grande pubblico soprattutto per l’emozionante e celeberrimo video della performance al Moma di New York in cui, inaspettatamente, si sedette davanti all’ex compagna, la ben più nota Marina Abramovic.
La performance consisteva proprio nel relazionarsi attraverso il contatto visivo con sconosciuti che le sedevano davanti, e il “re-incontro” con il primo amore – nonchè partner artistico- è ancora oggi un momento destinato a restare nell’immaginario collettivo.
https://youtu.be/OS0Tg0IjCp4
In realtà Ulay, più che compagno della Abramovic, è stato tra i fondatori di quella performing art della quale Marina è divenuta poi icona, ed è proprio dalla sua idea di esplorazione del corpo e della sua esistenza che si dipana il percorso dell’artista tedesco.
Il sostrato culturale è quello della Germania del dopoguerra, pervasa del senso di colpa che la generazione dei “figli” interiorizzò verso i padri, colpevoli di aver permesso l’incubo nazista. Proprio una sorta di contrappasso corporeo, di rivisitazione delle sensazione extra ordinarie che l’olocausto causò nei corpi, spinse ad indagare sulle possibilità espressive della carne vivente, in primis dell’artista stesso.
Il corpo dunque è utilizzato come recettore e medium centrale nel processo creativo, con il distacco da forme e materia inerte e da consuetudini rappresentative: il discorso artistico avviene invece nel qui ed ora, nel contesto spaziale e sociale attraversato dal corpo dell’artista. In questo percorso, potremmo dire inevitabilmente, Ulay anticipò moltissimi temi legati all’arte queer, proprio per la sua relazione con il concetto di identità.
Nel 1974, in Renais Sense (replicataBoers-Li Gallery di New York, nel 2018) combinò due elementi “effimeri” dell’identità. La polaroid, allora avanguardia tecnologica nella rappresentazione dell’identità. E il travestimento, ugualmente temporaneo, ma non per questo meno rivelatore. L’obiettivo era lo scardinamento degli stereotipi dalla costruzione dell’identità. In anticipo di oltre 40 anni rispetto a quel che stiamo vivendo, con colpevole ritardo, al giorno d’oggi.
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