MILANO – Un viaggio dell’amore nell’amore, attraverso passioni, stimoli carnali, amplessi sfuggevoli tra poltrone di un cinema hard. Un mondo complesso dove si incontrano prostituti, transessuali, gay, coppiette, militari. “Cinema Cielo” di Danio Manfredini, è la rappresentazione di un mondo rarefatto e lontano, immagine iconoclasta per tanti, luogo di efficace distonìa per altri: una delle tante sale cinematografiche a luci rosse di Milano, il Cinema Cielo di viale Premuda, dove il sesso era voglia carnale e prostituzione, amore ed erotismo.
«Il film e la sala sono due specchi che rimandano l’uno all’altro. Scorrono autonomamente, ma durante il tragitto ci si rende conto che le parole del film, le voci di Divine, Mignon o quella di Nostra Signora dei Fiori hanno una ‘liaison’ con quel che accade in sala, seppure risultano essere cose molto diverse», dice Danio Manfredini. E la scenografia riproduce una sala a luci rosse, con file di poltrone, le uscite e i vani dove la gente si apparta, parla, cerca di scrutare il corpo dell’altro, consuma le proprie voglie nell’angusto WC.
Vi è in questo lavoro di Manfredini una vocalità e un equilibrio che concede libera interpretazione alle affettività umane vissute, al riscatto di immagini in transizione. Louis, o meglio, Divine, è una transessuale che si racconta, come in un film, contornata da paillettes e tutù, un intrepido angelo che vive la disperazione che precede la morte del suo protettore Mignon e di Nostra Signora dei Fiori, seducente assassino. Come il carcere e il suo universo di ladri e assassini diventano in Genet l’immagine di personaggi sacri, qui il mondo dei marchettari diventa un cielo popolato di trans dalle forme e movenze istrionesche, simili ai circensi. E così Manfredini incontra Genet, dopo un desiderio rimasto tale di fare un film sull’opera del carcerato di Mettray. «Nello spettacolo – spiega Danio – possono esserci momenti che ricordano Fassbinder o il “Flowers” di Lindsay Kemp, anche attraverso la colonna sonora dei Pink Floyd. Ma non oso fare paragoni. Per me aver messo i Pink Floyd è come sentire Bach: una certa sacralità che investe la disperazione dei presenti. Vi è un continuo rimando, un parallelo che lega musica, attori e pubblico. Divine appare nella sua forma lirica, eroica, mentre i personaggi in sala non possiedono nulla di tutto questo, non attraggono».
Ed eccoli lì, manichini e attori che muovono i loro corpi giovanili o appesantiti dall’età, maschere della loro stessa voluttà, danzatori e acrobati di un circo dove il dominio dimentica la legge tra furti e prevaricazioni. Vi è quasi il rischio di presentare un mondo spesso frequentato dai gay, come un qualcosa di deleterio e infimo. «No. Assolutamente no. Non ho mai avuto la pretesa di misurarmi con un mondo così complesso come quello omosessuale. Non per nulla in scena esistono coppiette etero e marchettari. Il pubblico recepisce questo. La realtà gay è tutt’altro, anche se il sesso di “Cinema Cielo” è rappresentato al maschile. Io punto sui personaggi: extracomunitari, ladri, marchette, transessuali, la stessa cassiera cui viene sottratta una radio. E’ un mondo plagiato dai desideri, voglioso di carnalità, misero ed effimero. L’improbabile riscatto, per tutti, è Divine che continua a raccontarsi mentre in platea si cerca e si fa sesso, ci si improvvisa cantori di un mondo lontano, che resta fuori da quel luogo di tenera disperazione», precisa Manfredini.
“Cinema Cielo” rappresenta un universo in via d’estinzione, trasferito in selezionati e costosi “Club Privèe”, e con Danio cerchiamo di capire come è visto da lui il cinema e gli attori porno. «I film hard – risponde – oggi sono visti in cd o videocassette, hanno assunto una visione intimistica. Ho grande rispetto per gli attori e non mi interessa perché lo facciano. So che sono soggiogati da un sistema che li usa in maniera spregiudicata, con ritmi davvero massacranti. In una certa maniera si espongono quasi sacrificalmente per un loro desiderio di guadagno o una loro necessità. Sono contrario a chi giudica coloro che offrono la parte più intima». Saggia riflessione se pensiamo che anche “Un chant d’amour“, l’unico film di Genet, fu etichettato come pornografia e, poi, non è detto che quegli attori sullo schermo non siano gli stessi che frequentavano Cinema Cielo.
Danio Manfredini ha quella magia, destinata ai grandi artisti, di riuscire ad incollarti alla poltrona, mentre ti misuri con le tue emozioni, i ludibri della vita, i desideri più intimi e perversi, lo specchio di quello che in fondo siamo un po’ tutti: sesso e crocifissione. Incantevole la traccia musicale che diventa dicotomica con lo spettacolo parlato. Encomiabili Patrizia Aroldi (anche assistente alla regia), Vincenzo Del Prete, Giuseppe Semeraro e, ovviamente Danio Manfredini che firma anche la regia.
“Cinema Cielo” ha debuttato la scorsa estate alla XXXIII edizione del Festival Internazionale Santarcangelo dei Teatri e, come nello stile del cremonese Manfredini, è stato e continua a modificarsi lungo il cammino che prosegue nei teatri italiani ed esteri. Dopo Milano, il 27, 28 e 29 febbraio “Cinema Cielo” sarà al “Fabbricone” di Prato. Ai primi di marzo due date da definire a Bari e altre due a Napoli, prima di sbarcare nei teatri francesi, dove esiste una ricettività maggiore per questo tipo di spettacolo, che in Italia. Peccato per il teatro italiano non saper riuscire a cogliere e accogliere artisti di grande prospettiva come Danio Manfredini.
Cinema Cielo
Ideazione e regia di Danilo Manfredini
Teatro Dell’Elfo
Via Ciro Menotti, 11 – Tel. 02.26681166 – 02.716791
Feriali ore 20.45 * Domenica ore 16.00
Intero 18 euro – Ridotto 12 e 9 euro.
Fino al 15 febbraio
di Mario Cirrito
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