Antologaia: inno alla gaya follia e agli anni della liberazione gay

Checche, sfrante e travestite: gli anni della visibilità nell'imperdibile libro di Porpora

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Credete che dopo Erasmo da Rotterdam non sia più possibile scrivere un Elogio della Follia? Aprite un’altra finestra del vostro browser e ordinate subito l’ultima edizione di Antologaia di Porpora Marcasciano (Edizioni Alegre, 15 euro, 271 pp) e vi ricrederete.
Porpora, attivista storica del Movimento LGBT, reduce indenne dei favolosi anni ’70, fondatrice del MIT (Movimento di Identità Transessuale), ci ha regalato una rivisitazione della sua fatica autobiografica.
“Antologaia” è un inno alla gaya follia rivoluzionaria del post ’68, un trip di ricordi che conduce il lettore per mano, alla scoperta della propria identità storico-culturale: attraverso le sue esilaranti narrazioni, Porpora cerca di mettere in luce la contraddittoria realtà di quegli anni, composta da immensi e folli progetti rivoluzionari, che ha visto la gaya rivoluzione supportata e sopportata da una sinistra troppo spesso omofoba (soltanto fuori dalle lenzuola).

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Antologaia, un vero e proprio copione teatrale, il copione di un’esistenza: una vita vissuta sempre come su un palcoscenico, fatta di maschere che cadono, di verità che si rivelano solo con lo scorrere del tempo scenico.
Come farsi sfuggire la possibilità di poter conoscere la Zanza o Valentina Sanna Cortese (il fu Marco Sanna)?
Sarete trascinati all’interno della liberazione (omo)sessuale, fatta di droghe, amori libertini, corpi liberi e dannatamente froci; checche, sfrante, travestite di ogni ordine e grado.
Sia chiaro per i bigotti: questa lettura provoca abbassamenti di testosterone e caduta di tutti gli schemi maschilisti.

Coraggio dunque, mio bel dottor Faust, il mantello è pronto per il volo; si parte per l’inconscio… (GEORG GRODDECK)

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In Antologaia descrivi atmosfere quasi surreali: pensi che questi scenari di liberazione siano oggi impensabili? E Perché?
Siamo troppo calati nella storia presente, per riuscire ad esprimere un giudizio. Ma di pancia mi viene da dire che quello che viviamo non è un gran bel periodo. Non per essere nostalgici, né utopici, né idealisti o antagonisti. Se ne accorge anche un asino! Penso che quei deliri (così mi piace definirli) oggi sono o appaiono surreali. Bisogna leggere i tempi e capire dove ci troviamo. Quella era un’epoca votata e dedicata alla demolizione del vecchio e alla costruzione del nuovo, dove per nuovo si intendeva la nostra liberazione (gay, trans, femminista e altro ancora). Per la prima volta si usciva allo scoperto e ci si riprendeva tutto quanto ci era stato negato. Oggi sembrerebbe assurdo, ma era esattamente così… il gusto della conquista, della lotta, della sovversione… soprattutto della visibilità, mai pensata prima.

Ma c’è Zanza… Un personaggio che penetra nell’immaginazione di ogni lettore, antidoto perfetto contro il bigottismo di ritorno. Zanza, così come Mario Mieli, che da brava “pazza” si ingioiella come una statua della Madonna e si fa fotografare a Piazza S. Pietro. Cosa c’era di politico nell’ostentazione continua?

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Dico subito che quando ho conosciuto Zanza, lei e Mario Mieli erano amiche.
Zanza (che si chiamava Enzo) arrivava dalle case occupate di Via Morigi a Milano, la prima occupazione gay, dove si sperimentavano autocoscienza, teatro e provocazioni; praticamente ci si preparava, o meglio, ci si imbellettava, per la rivoluzione. Quell’esperienza, quel modo di vivere e di vedere il mondo, non nasceva dal nulla, era il prodotto di una miscela culturale politica libertaria molto incandescente. Era supportata da studio, informazione, comunicazione, intelligenza, altrimenti sarebbe rimasta una semplice, misera e inutile moda. Eravamo figlie dei tempi, del 68, della resistenza, delle lotte… eravamo figlie del secolo breve! Ogni gesto, segno, personaggio era il prodotto di un senso profondo di liberazione. Cosa che oggi mi sembra, non solo assente, ma incomprensibile.

Droghe, autocoscienza, vita vissuta come un trip. Trip che non ha risparmiato nemmeno la spiritualità. Perché il lato spirituale è stato abbandonato? Ha a che fare con l’epidemia di HIV negli anni ’80?
Non credo che il problema riguardi solo noi LGBT, ma l’umanità in generale, svilita e derubata della sua dignità. Oggi vivo e viviamo in una grande melassa, dove tutto sembra conosciuto e conoscibile, tutto sembra scontato, tutto sembra inutile, tutto ci è dovuto e nulla dobbiamo conquistare: in questo trovo una caduta di felicità o, come la chiami tu, di spiritualità. Il trip era conoscenza, avventura, conquista, tutte cose che ci sono state sottratte, ma noi di questo non ne abbiamo coscienza. Proviamo a mettere insieme tutto questo e capiamo

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anche la nostra povertà, che prima di essere economica è soprattutto intellettuale e anche spirituale. Dove per spirituale intendo semplicemente l’importanza della nostra vita, quella omosessuale/transessuale/lesbica. Di sicuro non abbiamo riflettuto abbastanza sull’AIDS e su tutto quello che ha significato e prodotto, questo per me è inaccettabile. È una sconfitta del Movimento!

Un aggettivo che ti rispecchia è “fluida”. Appari sempre in movimento, sempre in cambiamento, mai uguale a prima. Ti definisci a volte al maschile, a volte al femminile: identità di genere sempre mutevole?
La fluidità è la mia salvezza. Tutto quello che la retorica vetero/patriarcale ci ha trasmesso come limite, errore, scarto, peccato da me viene ribaltato e diventa pregio, valore, preziosità. Sarebbe importante, però, declinare tutto al plurale e non al singolare, quindi usare un “noi” collettivo. Quando Noi lo faremo tutte/i insieme, forse avremo vinto. La favolosa Sylvia Rivera in uno dei suoi discorsi più belli tenuto a Forte Prenestino nel 2000, ribadì che lei non era stata la “prima”, ma la seconda a lanciare la Cocktayl Molotow: non era importante stabilire chi fosse stata prima e chi la seconda a innescare la rivolta. Stonewalll fu accesa dal movimento … gli anni del collettivo e quindi della vittoria!

di Marco Mancini

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