Keith Hering nasce il 4 maggio 1958. Se oggi, 61 anni dopo, la street art é mainstream molto lo si deve all’irriverente, apparentemente naïf ma in realtá profondissimo, segno del genio di Pittsburgh. Impossibile non aver mai visto almeno una sua opera, in un museo o anche in versione commerciale; impossibile non venire colpiti dalla sua arte diretta, accessibile, urbana e contemporanea, ma che affonda le radici nella primordiale idea di arte della variegata tribú umana: quella dei graffiti rupestri.
E la cui poetica é parte integrante della cultura lgbtq contemporanea.
Un artista post-pop, si potrebbe dire, che ha caratterizzato gli Anni ’80 e ’90, prima donando al mondo le sue opere, poi fornendo un aiuto alle persone colpite dal virus dell’HIV, e che morivano di AIDS, quando ancora non si sapeva come attaccare questa malattia letale.
Ereditato dal padre l’amore per il disegno e l’arte, Keith Haring decise di trasferirsi da Pittsburgh a New York, per studiare presso la School of Visual Arts. Oltre allo studio, la sua passione lo portò a “esercitarsi” nella metropolitana della Grande Mela, disegnando graffiti sui muri spogli. Nel giro di pochi mesi, la sua arte si fece riconoscere: contorni neri e molti spessi, colori interni vividi, in tinta unita. E quegli “omini”, capaci di raccontare ogni storia, di irridere cosí come di raccontare drammi, passioni o sesso.
Negli gli anni ’80, aveva iniziato a esibire le opere al Club 57, un nightclub dell’East Village, ritrovo di artisti. In quegli anni, attirato dai suoi disegni, conobbe addirittura Andy Warhol. Quell’incontro, oltre a influenzare il suo stile, lo spinse a una maggiore visibilità.
Keith Haring voleva rendere la sua arte accessibile a tutti
Keith Haring non desiderava che la sua arte fosse accessibile a pochi. Voleva che i suoi disegni fossero visti da tutti. E anche per questo aveva iniziato a disegnare nella metro di New York. Per lo stesso ideale, decise anche di creare alcuni temi per la Swatch, che a metà degli anni ’80 aveva messo a punto dei modelli di orologi a basso costo. Proprio come a basso costo erano le sue opere nell’underground. Disegni semplici, forse a prima vista banali. Ma con un significato che ancora oggi fa riflettere sulle ingiustizie della vita.
Nel frattempo, le sue opere vennero acquistate ed esibite in Francia, Olanda, Germania, in Australia e Brasile. Un suo disegno era anche presente nel muro di Berlino, poco prima che questo venne abbattuto. Contro tutte le discriminazioni, si impegnò in campo sociale per l’Africa, oltre al disarmo nucleare, il capitalismo, il razzismo e le diseguaglianze.
Gli ultimi anni di vita da gay sieropositivo e le sue lotte
Con la diffusione dell’HIV, Haring decise di ricorrere al sesso sicuro, ma senza evitare di avere rapporti promiscui. Nel 1988, però, le protezioni non erano bastate: i medici gli diagnosticarono l’AIDS. Nel giro di due anni, la malattia non gli lasciò scampo. Ma nonostante questo, riuscì a fondare un’associazione che si occupava di assistere i malati sieropositivi, e nel 1989 creò l’ultimo murale, intitolato “Tuttomondo”, ispirato alla pace universale, a Pisa.
Durante il suo attivismo contro l’AIDS, nel 1985, disegnò un quadro intitolato come la malattia. I tre tradizionali omini stilizzati si atteggiavano come le 3 scimmie “non parlo, non sento e non guardo”. Una tagliente accusa alle istituzioni, responsabili di non aver preso seriamente l’epidemia, permettendo al virus di diffondersi. Morì il 16 febbraio 1990.
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