Donne, gay, trans, migranti e cisgender: uniti contro la stessa violenza

Nella Giornata mondiale dei Diritti umani, è necessario ricordare che la violenza ha sempre la stessa matrice: colpire chi non è "conforme". Solo uniti possiamo combatterla.

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5 min. di lettura

Nel novembre 2016 si è parlato molto (anche qui su Gay.it) di “violenza sulle Donne”, sull’onda della manifestazione “Non Una Di Meno” tenutasi a Roma; ma cosa si affronta quando si parla, appunto, di “violenza sulle Donne”?

Nel fare una divisione fra tipologie di violenza si rischia di perdere una dimensione di insieme che è, invece, fondamentale mantenere. Il rischio è che dall’individuazione di un meccanismo di violenza e prevaricazione basato sul genere (per lo più, basato su stereotipi di genere) si passi a una categorizzazione delle vittime, facendo apparire soltanto l’aspetto più superficiale – ovvero, che è diretta alle donne – perdendone la dimensione politica, ossia il perché sia diretta proprio alle donne.

Le parole d’ordine della manifestazione Non Una Di Meno da parte delle sigle organizzatrici sono state: “contro la violenza maschile” e “contro la violenza degli uomini sulle donne”. Femmine. Maschi. Questa scelta, di cui sono chiare e condivisibili le ragioni, rinuncia però di fatto a lavorare per riconoscere che quella violenza ha la stessa identica natura di altre violenze che, nell’insieme, definiremo la Violenza. Questa Violenza, infatti, colpisce le esistenze di persone anche molto diverse tra loro; in questa visione siamo solitamente abituati a chiamarla patriarcato, maschilismo e machismo oppure omofobia, bifobia, transfobia, xenofobia o razzismo.
Affermando, qui, che si tratta dello stesso tipo di Violenza, non intendiamo sdoganare un appiattimento delle differenze tra le persone e la creazione di un unico gruppo di discriminati, o peggio, di vittime; intendiamo dire, piuttosto, che quelle modalità sono solo espressioni di uno stesso meccanismo sociale di conservazione dei rapporti di potere e che la violenza che ne deriva è, in questo senso, la stessa.

Per districare il pensiero, diciamo che è quella Violenza che colpisce chi tenta di ribellarsi, di discostarsi dal sistema sociale cosiddetto comune – o chi, per sua stessa natura, vi si discosta. Quando un soggetto mette in discussione questo sistema e intrinsecamente tutte le sue componenti – come la distribuzione del potere, ad esempio – questa persona in qualche modo viene colpita. Colpita da una violenza verbale o fisica, diretta o indiretta, dalla discriminazione e dall’emarginazione in tutte le varie declinazioni che abbiamo osservato, vissuto, conosciuto e che possiamo immaginare.

Quando un soggetto si discosta da questo sistema in un punto, ad esempio quando una donna decide liberamente che la storia col proprio partner sia finita mentre lui la pensa diversamente, sta rompendo questo sistema, volente o nolente. E l’effetto – forse sarebbe meglio dire la risposta – è la Violenza: soprusi, persecuzione, fino all’omicidio. Con lo stesso meccanismo, quando un persona si discosta dal modello di uomo  o di donna cisgender eterosessuale, poiché ha un orientamento sessuale diverso o poiché il proprio genere o la propria identità di genere non risponde al paradigma del binarismo di genere, quella persona sta mettendo in discussione il sistema. Di risposta verrà colpita dall’omobitransfobia.

Quando una persona decide di vivere in un altro paese rispetto a quello in cui è nato, accade che arrivata nell’altro paese viene presa e manipolata come un oggetto, viene cancellata la sua identità e soggettività e viene inserita in un sistema assistenzialista che la tiene fermo in attesa di decidere delle sue sorti. Dopo questa prima fase di Violenza (la de-soggettivazione è in tutto e per tutto una violenza, ne abbiamo esempi più marcati nel secolo scorso con l’omologazione nei campi di concentramento nazisti) la persona viene inserita nel sistema, oppure viene respinto o abbandonato, o, nei momenti di attesa e sospensione, si perde da solo.

Lo stesso meccanismo di Violenza (in alcuni casi possiamo parlare di repressione) agisce quando qualcuno protesta contro una legge che ritiene ingiusta o quando qualcuno si ribella perché le proprie condizioni di lavoro sono degradanti. Tutte queste persone mettono in discussione il sistema di potere e per questo vengono colpite.

Stiamo facendo qui un’affermazione che, per alcuni, potrebbe sembrare una contraddizione. Qualcuno, infatti, potrebbe chiedere: se il sistema a cui ci stiamo riferendo è così forte e pervasivo, come si può allo stesso tempo affermare che una sola donna che interrompe una relazione con un uomo, che un solo uomo che ama un altro uomo, che una sola persona che non si riconosce nel binarismo di genere possa essere percepito come una minaccia al punto di accendere una tale violenza? Il sistema di cui stiamo parlando, di fatti, esiste nel paradosso: questo, semplicemente, avviene. E avviene poiché questo sistema fonda tutto il suo potere sul fatto di essere la norma.

I rapporti di potere uomo-donna nelle relazioni sentimentali, i ruoli di genere, l’orientamento eterosessuale, se da una parte hanno una funzione di mantenimento dei rapporti di potere politici ed economici all’interno della società, dall’altra stanno in piedi soltanto fino a quando si fondano nell’essere la normalità. Una normalità che per essere legittimata in maniera universale, assume nei discorsi e nelle azioni politiche connotazioni immutabili, pre-sociali, quasi naturalistiche.
Il fatto che ad un uomo non sia chiesto di scegliere tra carriera e figli – come invece è domandato ad una donna – si fonda nella naturale disposizione delle donne ad allevare i figli. Il fatto che una persona trans venga considerata portatrice di un disagio psichico – e quindi in qualche modo causa stessa della propria esclusione – si fonda nell’idea che identità di genere (binaria) e sesso biologico naturalmente coincidano. Il fatto che i ruoli all’interno della coppia siano tuttora diffusamente e profondamente percepiti come rigidi (come mostra banalmente la semplice domanda che tutte le donne in una coppia eterosessuale ricevono, e cioè, se il compagno le aiuta con le faccende di casa “che spetterebbero a te”), si fonda sulle caratteristiche naturalmente tipiche di ciascun genere, quelle che, in sostanza, una qualsiasi lista di Cosmopolitan ci mette davanti una volta a settimana.

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Dunque, due uomini che formano una coppia, e ne bastano due soli, mettono in discussione una divisione di ruoli basata sul genere (come mostra banalmente la semplice domanda che tutti gli uomini in una coppia omosessuale ricevono: “chi fa la donna?” che significa “chi tra voi ricopre i ruoli domestici, sociali e sessuali che naturalmente spettano alla donna”?). Una donna che sceglie di rendersi autonoma – economicamente magari, o emotivamente – da un uomo che la vuole ancora, mette in discussione il ruolo naturalmente subordinato che la donna ha nella coppia. E ne basta una sola! Una ragazza che sceglie come vestirsi rifiutando di farlo in funzione della naturale disposizione dell’uomo ad appetiti sessuali che si accendono in modo incontrollabile, mette in discussione la stessa esistenza di questa caratteristica naturalmente maschile e – oltre a fare un gesto di grande rispetto nei confronti degli uomini cisgender eterosessuali – la mette in discussione da sola. Ne basta una.

La violenza nei confronti delle persone, delle esistenze, delle scelte e delle caratteristiche che mettono in discussione il sistema di potere muove da qui, ed è questa la natura comune che ci sembra necessario individuare, non il genere o la tipologia della vittime.

Per questo, ogni volta che si tende alla divisione, si perde un’occasione per individuare il meccanismo nella dimensione macro, e ogni volta che ci si perde nella storia personale di violenza – che ha ovviamente il proprio valore e importanza – o nelle caratteristiche della vittima in relazione alla violenza subita, si rischia di fare lo stesso gioco del sistema che la perpetra, finendo per legittimare il discorso che colloca la violenza all’interno delle caratteristiche naturali degli uomini, l’omofobia all’interno delle caratteristiche naturali degli eterosessuali, la tendenza alla normalizzazione all’interno delle caratteristiche naturali delle persone cisgender e così via.

La dimensione d’insieme, in conclusione, consente una osmosi tra le diverse esperienze, tra le diverse esistenze, che diverse restano e continuano ad essere. Conoscere il meccanismo in base a cui agisce quella Violenza dell’uomo lasciato dalla donna, aiuta a vedere meglio cosa accade in episodi di omofobia. Così come, all’inverso, conoscere e avere esperienza di relazioni omosessuali – diverse, molteplici, mai assimilabili – aiuta a costruire con maggiore consapevolezza ogni relazione eterosessuale.
La strada da fare è complessa, e come ogni cambiamento culturale richiede tempo e caparbietà: non c’è, però, nessun altro modo per percorrerla, veramente, se non percorrendola insieme.

di Davide Bombini e Natascia Curto


Photo credits: eleanor.rose

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arrives 11.12.16 - 8:33

Non c entra una beneamata mazza associare omosessuali a immigrati, è una forzatura, sono due ambiti molto diversi, state strumentalizzando la lotta all omofobia con il problema di accoglienza di stranieri in Italia che non c entrano nulla l uno con l altro.

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