EROS E PASSIONE SENZA LIMITI

Non solo una biografia, ma uno squarcio sugli amori del Caravaggio, primo fra tutti quello per i giovinetti. E' l'imperdibile "Tutti i miei peccati sono mortali", in libreria.

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4 min. di lettura

L’animo iroso, colmo di sangue e di combattimenti. La morte che su di lui esercitava un fascino sinistro, un’attrazione ambigua e poi il vagabondare in esilio perenne per quel suo incessante guainar di spada. Le virtù di un genio raccolte nella pittura angelica, sacralità della bellezza di visi puerili in pose conturbanti. L’esistenza che riaffiora su uno specchio dove scorgere galleggianti brandelli dell’anima che invano tentano di afferrare, di fermare la vita. Michelangelo Merisi conosciuto come il Caravaggio ha vissuto in un’amalgama di sapori acri che ne hanno lacerata l’esistenza pur destinando le sue opere all’immortalità. “Tutti i miei peccati sono mortali“, scritto da Giuliano Capecelatro, narra le molteplici turbolenze, le passioni, le amicizie e gli amori verso i giovin fanciulli e qualche donna di opulenti forme del grande pittore.
Non è una biografia dettagliata quella che ci propone Capecelatro, bensì spazi temporali di un vissuto macinato tra vernici e pennelli, la conoscenza tecnica attraverso i colori pittorici di Savoldo, Lotto, Moretto. Le città dove Michelangelo trascorse il suo vivere e lavorò alacremente. Il ragazzo di Caravaggio, allievo di Simone Peterzano, discepolo di Tiziano, ha talento, voglia di fama che acclari le sue doti.

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La penna di Capeceletro destina molte pagine del libro ai piaceri coltivati dal Caravaggio verso i ragazzi cui insegna l’arte e ne rapisce i corpi. Dopo Milano dove vive di stenti e bagordi, Michelangelo raggiunge Roma, la dimora dei papi, di nobili aristocratici, cortigiani, ladri. Nelle sue sarabande notturne gli fa compagnia Onorio Grande, architetto scavezzacollo e un’amena brigata di altri giovinastri che richiamavano spesso le attenzioni delle guardie in giro per la ronda. Michelangelo Merisi da Caravaggio è squattrinato, con una fame che stenta a saziare in un continuo peregrinare tra spelonche dove le risse saziano solamente la rabbia. Tenta allora di impantanare la sua povertà e quella vita grama destando in ricchi signorotti passioni illecite, trasferendo nella pittura cibo e abbondanza. La sua fortuna, al momento è fatta di signori che passeggiano nello spiazzo della platea Agonis: una parola allusiva, un rapido cenno del capo e il giovinetto piccolo e scuro venuto a qui a cercare la gloria, poteva saziare la sua terribile fame.
Viene preso a bottega dove ritrae teste e lì conosce Mario Minniti, un giovinetto siciliano di rara bellezza. Se ne invaghisce perdutamente celebrando quell’amore in un mirabile quadro così descritto da Capecelatro: “L’occhio languido, neri capelli ricci, la spalla destra che con mossa vezzosa spunta da una camicia discinta, le labbra rosse e piene che sembrano offrirsi a un’altra bocca; tra le mani un canestro ricolmo di bella frutta appetitosa, dove non mancava il richiamo alla caducità di tanta bellezza”. Mario sarà l’anticipatore degli amori al maschile di Caravaggio, musa ispiratrice per altri concerti pittorici dove la bellezza è marcata dai trionfi di Bacco o canestri di frutta orpelli di sguardi e labbra peccaminosi che secoli dopo saranno il leit-motiv dei lascivi ragazzi di von Gloeden.
Pur con quei desideri peccaminosi Michelangelo aspira alle commissioni del clero. Sa che quel terreno è fertile per le sue aspirazioni e per sfuggire a miseria e fame. Ma a Roma la situazione non è delle più tranquille. A fronte di una città con centomila abitanti la chiesa censisce diciottomila puttane e papa Clemente VIII si accanisce contro quelle donne che vivevano anche nei piani dei palazzi apostolici, comminando frustate, confische dei beni e l’esilio. E lo fa anche con i sodomiti. Indifferenza e scherno seppelliscono ogni divieto papale e per Caravaggio quelle donne irriverenti saranno la Vergine addormentata nella “Fuga in Egitto”, la “Maddalena penitente”, Santa Caterina d’Alessandria e Giuditta decisa e impassibile mentre recide la testa di Oloferne.

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Il cardinale dal Monte è l’acquirente che risolleva le finanze del pittore e Caravaggio nell’avvento del Giubileo passa intere giornate nella sua bottega simile ad un laboratorio di alchimia. “Disponeva su un tavolo i colori, l’olio che miscelato a una soluzione alcolica serviva da legante, l’olio di lino per asciugare rapidamente le tele, quello di noce che rendeva brillanti i colori, la tempera d’uovo che avrebbe usato nei punti più luminosi del dipinto”. Nel 1603 Caravaggio compie trentadue anni, i suoi quadri vendono e le commissioni non mancano. Fama e danaro non frenano quel temperamento iroso e nei vagabondaggi con gli amici non disdegna risse e duelli. In quei tempi giovinetti imberbi venivano avviati dai genitori nelle botteghe degli artisti per imparare il mestiere, un fatto comune che toccava anche musici, teatranti e altri. Da Michelangelo arriva Francesco Boneri, detto Cecco che diviene il garzone, l’allievo, il suo ragazzo. Lo trasforma nelle tele dandogli le sembianze di Giovanni Battista e di altri personaggi biblici. Nessuno osa accusare Michelangelo di essere un sodomita proprio perché è Michelangelo o meglio il Caravaggio. Le sue opere arricchiscono i palazzi cardinalizi e le abitazioni degli aristocratici: fanciulli, corpi maschili in perenne movimento amoroso, madonne scandalose in pose da basso rango ma con una luce misteriosa che fa di ogni opera un paradiso di colori.
Nel 1606 il Caravaggio uccide a duello Ranuccio e per evitare il patibolo fugge da Roma, rifugiandosi a Napoli. Non è al sicuro neppure lì e dopo aver lasciato anche Cecco s’imbarca per la Sicilia dove ritrova Mario ormai accasato e stimato pittore, e poi Malta. Vuole tornare a Roma aiutato dal Gran Maestro dell’ordine Alof de Wignacourt conquistato dall’arte di quel fuggiasco. Il 28 luglio 1610 viene data notizia della morte di Caravaggio mentre da Napoli tenta di arrivare a Roma col perdono papale. Si scatenano duelli a suon di monete per accaparrarsi le opere di un grande tra i grandi, celebrato con sapienza e raffinatezza da questo libro di Giuliano Capecelatro, tutto da leggere!

Giuliano Capecelatro
Tutti i miei peccati sono mortali – Vita e amori di Caravaggio
Il Saggiatore, pp.290, 17 euro.

di Mario Cirrito

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