Galeotti innamorati, intrecciati in rapporti sessuali e sentimentali cupi e distorti, sesso tra le sbarre per fuggire dalle sbarre. Sono elementi cari all’opera di Jean Genet, scrittore omosessuale maledetto di questo secolo, di cui Antonio Latella mette in scena al teatro Out-Off di Milano l’opera "Sorveglianza Speciale".
Lo spettacolo è cupo, sensuale, pregno di quell’aria virile e carica di sesso che Genet sa tracciare con la sua penna. Uno spettacolo, che, come ci dice il regista Antonio Latella, la critica ha molto apprezzato, «con il pubblico si lavora soprattutto con il passaparola, ma quello che ci va rimane molto contento».
Di cosa parla lo spettacolo, Antonio?
Ci sono tre detenuti, uno condannato a morte, uno che deve essere liberato e poi un nuovo detenuto, che diventa il terzo incomodo tra due amanti. Alla fine quello che deve essere liberato uccide il terzo e quindi rimarrà per sempre in prigione. Il lavoro che è stato fatto, è stato sul mondo genettiano, tenendo conto che per lui la prigione era il luogo più creativo, come amava dire, il luogo dove ha creato buona parte delle sue opere. E’ vero che è un luogo di claustrofobia, ma nello stesso tempo è un luogo di sogni e di fantasia. Infatti è lui stesso a chiedere che il testo vada "a braccetto con i sogni".
Avete fatto un lavoro sull’omosessualità?
Il lavoro è stato spinto su un certo tipo di rapporto che nasce in prigione, che è l’omosesualità, ma quell’omosessualità che nasce dal bisogno assoluto di avere dell’affetto. Quindi lo spettacolo è molto fisico, a momenti molto crudo, con chiari richiami alla pittura di Bacon, e abbastanza visionario.
Parliamo degli attori.
I quatttro attori (Matteo Caccia, Rosario Tedesco, Marco Foschi e Annibale Paone) che sono in scena sono secondo me straordinari, tenuto conto dell’età che hanno. Il più grande è Annibale Paone, ma gli altri sono intorno ai 23, 24 anni. Loro hanno accettato di mettersi in gioco in una maniera rara: nessuno di loro è omosessuale, quindi durante le prove hanno spinto il pedale, andando a cercarsi, a capirsi, a mettersi in discussione, e devo dire che fanno un gran bel lavoro. Se tu fai fare un testo così a un attore omosessuale, se vuoi è più facile; ma fatto da loro diventa molto più forte e anche molto più concreto, perché non c’è lo sberleffo, ma è tutto concreto, molto dichiarato.
Perché Sorveglianza Speciale?
Era importante per me affrontare un contemporaneo adesso, perché ultimamente avevo lavorato sempre su Shakespeare… Però era anche importante trattare un contemporaneo il più possibile come un classico; e per me Genet è un classico. Poi c’è un affetto dovuto al fatto che uno dei primi spettacoli che ho fatto come attore era I Negri di Genet, una delle mie prime esaperienze di regia era su Genet, e ora ci sono tornato. Ma ci son tornato con grande entusiasmo, anche perché lui è un autore che ti fa mettere in discussione, perché non racconta delle storie, racconta delle situazione e il compito del regista è di ricreare la situazione e l’atmosfera; non c’è la storia e la gente non può innamorarsi della storia, e fa fatica anche a innamorarsi dei personaggi, perché lui non scrive i personaggi.
Prossimi progetti?
Dovrei fare un altro Genet a Napoli, precisamente I Negri, e forse uno studio su Riccardo III a Milano.
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