Giovanni Lucchese ci parla de l’Uccello Padulo, suo secondo romanzo LGBT

Promettente vincitore del premio Giallo al Centro con Questo Sangue non è mio, ci racconta il suo secondo romanzo.

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Pop Toys, Questo sangue non è mio, L’uccello padulo, tutti per Alter Ego: Giovanni Lucchese attraversa i generi letterari con l’agilità di Usain Bolt, e racconta storie di immediato impatto ed estrema profondità. Gabriele Ottaviani l’ha intervistato per noi.

Partiamo dalla fine: l’uccello padulo è il mitologico nome che dà alla monumentale erezione di Billo (ventiquattrenne romano straricco abbandonato nel mezzo del nulla dai suoi presunti amici dopo un rave finito male) la trans che lo soccorre dopo essere stata a sua volta salvata, perché vittima di un’aggressione, da lui. Come nasce questa storia, esilarante ma anche molto amara?

Nasce dal desiderio di mettere a confronto due mondi così diversi, apparentemente distanti ma con molte più cose in comune di quanto sembri. Amo trattare temi forti, come l’emarginazione, la paura del diverso, il concetto di famiglia “tradizionale” contro quello di famiglia elettiva, formata  dalle persone che hanno veramente qualcosa in comune con noi. In questo caso ho usato toni ironici, sopra le righe, se il tema è profondo mi piace far arrivare il messaggio sdrammatizzandolo.

Chi sono i Billo di oggi? E quanti ce ne sono?

– Ce ne sono tantissimi. I Billo di oggi sono i re dei social network, le persone arroganti, superficiali, che si beano di una vita fatta di apparenza e poco altro, quelli che giudicano senza conoscere, i razzisti, gli omofobi, i devoti al dio denaro.  Nel caso specifico, Billo subisce una trasformazione durante la storia, diventa qualcosa di diverso alla fine, ma purtroppo nella realtà non avviene sempre. Non tutti hanno la fortuna di incontrare la loro Mamma Sophie, qualcuno in grado di vedere oltre le apparenze e che abbia la volontà di scavare a mani nude per far uscire la vera anima di una persona.

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Billo sperimenta per la prima volta una vita che non è ipocrita nel momento in cui si trova tra i cosiddetti emarginati ed emarginato lui stesso: perché?

– Perché quando si è emarginati, e quindi soli, si deve fare una scelta. Soccombere agli eventi e lasciarsi inghiottire dalla vita, oppure tirare fuori le unghie,  combattere, non smettere mai di cercare il proprio posto al mondo. Facendo questo si finisce immancabilmente per incontrare persone affini, gente che combatte per gli stessi ideali.  Persone sincere, la menzogna non appartiene ai guerrieri di nessuna specie.

Molti di noi conoscono persone che hanno completato o stanno completando il percorso di transizione, e l’immagine che dai nel tuo libro della transessualità è quella di un mondo che in realtà non ha molto di trasgressivo: secondo te allora da cosa deriva il pregiudizio? Ignoranza, odio…?

– Paura del diverso, semplice. Quando non si conosce una situazione si tende ad allontanarsi da essa puntandole il dito contro. Se sei diverso da me allora sei pericoloso, non segui le regole, fai casino. La vera paura, secondo me, è quella di potersi rispecchiare nella diversità, riconoscere lati del nostro io simili, se non uguali, a quelli della persona di cui abbiamo tanta paura. E’ una fobia ancestrale, il diverso è sempre stato emarginato finché non è stato capito e accettato.

Che diresti a un ragazzo che fa fatica a fare coming out? Com’è stato il tuo?

– il mio è avvenuto in tutta serenità, ho la fortuna di avere una famiglia fantastica che mi ha sempre accettato e supportato, in ogni momento. Qualche amico ha storto un po’ il naso a quei tempi, ma il coming out mi è servito proprio per saper distinguere i veri amici dai conoscenti. A un ragazzo consiglierei di farlo, a qualsiasi costo. Un bel repsiro e passa la paura. Non voglio semplificare situazioni che a volte possono essere complicate, però sono convinto che è sempre meglio una verità difficile che una menzogna perpetrata negli anni. Più tempo passa e più il fardello sarà pesante. Inoltre, come ho detto prima, quale migliore occasione per riconoscere le persone su cui possiamo contare davvero, che poi sono quelle che ci accettano per quello che siamo?

Questo sangue non è mio è la storia di Carlotta, che vive da sempre un dissidio interiore, è come se si sentisse scissa in due metà diverse: come si riesce a raggiungere nel proprio percorso di crescita la completezza?

– se conoscessi la risposta a questa domanda probabilmente oggi non sarei qui, ma in giro per il mondo a dispensare saggezza e spiritualità. Scherzi a parte, non credo che per un essere umano esista la possibilità di raggiungere la completezza, e non bisognerebbe neanche cercarla. La nostra bellezza è il continuo divenire, la ricerca spasmodica di qualcosa di nuovo, fuori e dentro di noi. Il giorno in cui crediamo, sbagliando, di essere finalmente completi è il giorno in cui iniziamo a invecchiare per davvero.

Barbie è una despota viziata e viziosa, Pinocchio è fragilissimo, le Bratz sono delle superfemministe, il povero Playmobil si sente superato: questi sono i tuoi Pop Toys, simboli di un’esilarante e feroce critica della nostra società. Ma quali sono i giochi del nostro tempo? E, soprattutto, chi sono i Mostri?

– i giochi di oggi sono modernissimi, molto più interattivi, a volte straordinari, tecnologici. Ai miei tempi si giocava con oggetti di plastica veri, tangibili, bisognava usare molta fantasia per poter interagire con loro, per farli “vivere” con noi. I mostri di oggi sono le persone che usano i bambini, la loro innocenza, per portare avanti battaglie e cacce alle streghe che con i bambini non hanno nulla a che vedere. Sono gli insensibili, i censori della fantasia, quelli che vorrebbero un mondo di persone tutte uguali, dello stesso colore, religione e orientamento sessuale. E’ un mostro chiunque non riconosce in un bambino l’innocenza che ha perduto.

Intervista di Gabriele Ottaviani

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