Giuseppina La Delfa: “Anche senza tutele daremo corpo ai nostri sogni”

Intervista a Giuseppina La Delfa in occasione dell’uscita del suo libro e della Giornata Internazionale contro l'omotransfobia.

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Oggi, 17 maggio, per i cattolici più osservanti è la festa di un religioso francescano a cui le donne in cerca d’un uomo, finanche in Rugantino, rivolgevano speranzose la seguente filastrocca misogina, sessista e diversamente intelligente, visto che se è davvero santo con lui le lenzuola non le stropicci in preda all’estasi dei sensi ma al massimo le ripieghi dandoci giù solo e soltanto con l’appretto: San Pasquale Baylonne, protettore delle donne, fammi trovare marito, bianco rosso e colorito, come voi tale e quale, o glorioso San Pasquale. Vabbè… Il resto del mondo invece si ricorda di un’emergenza, di un crimine che uccide, perché purtroppo non è vero, specialmente alle nostre latitudini, che a nessuno importi nulla del sesso della persona con cui andiamo a letto.

A molti, irrisolti, repressi, criminali, razzisti, ipocriti che spesso il sesso gay lo praticano eccome, e non solo da attivi (come se poi nel ruolo vi fosse una qualche dimostrazione di forza o virilità, tra l’altro…), importa invece parecchio, ed è spesso, troppo spesso, motivo di insulti e violenze. Il 17 maggio, a partire dal 2004, è dunque la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia (IDAHOBIT, sigla che sta per International Day Against Homophobia, Biphobia and Transphobia), ricorrenza celebrata a livello planetario, promossa dal Comitato Internazionale per la Giornata contro l’Omofobia e la Transfobia e riconosciuta da ONU e UE. In occasione di questa data di capitale importanza, e dell’uscita del suo ultimo libro, Tutto quello che c’è voluto (AUGH! Edizioni) intervistiamo Giuseppina La Delfa, dottoressa in letterature comparate e didattica delle lingue straniere, docente all’università di Salerno, creatrice dell’associazione Famiglie Arcobaleno, vicepresidente di Nelfa, il Network delle Associazioni di genitori LGBTQI* europee, moglie dell’amata (da decenni) Raphaëlle e madre.

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Da dove nasce il desiderio di genitorialità secondo lei? E da cosa è nato nel suo caso?

Secondo me il desiderio di genitorialità è un desiderio umano presente in ogni persona. Tutti quanti, prima o poi, facciamo i conti con questo desiderio, alcuni decidono di renderlo concreto, altri ci rinunciano e fanno altre scelte per i motivi più diversi. Noi persone omosessuali per troppo tempo abbiamo dovuto rinunciare a essere genitori, non per indole personale ma perché ci era in qualche modo imposta una sterilità sociale obbligatoria. È stata difficile da combattere per tanto tempo ma per fortuna e grazie a Famiglie Arcobaleno, oggi tante persone omosessuali che desiderano avere figli riescono a concretizzare quel loro desiderio di famiglia. Per ogni essere umano avere dei figli rappresenta una specie di continuazione di sé stesso ma anche una sfida, una sfida bella da rilevare. Credo che siano i due motivi principali che fanno sì che le persone abbiano voglia di avere dei figli. Nel mio caso personale, era qualcosa che avevo dentro da sempre, era veramente un bisogno che sentivo dentro di me fortemente. Ci siamo regalate questa possibilità di avere dei bambini per tornare bambine noi stesse e per aggiungere amore ad amore ma anche perché è bello trasmettere, è bello abbracciare un bimbo che si fida, è bello crescere e ricominciare insieme a loro. Malgrado le difficoltà che ci sono, rimane un’esperienza umana straordinaria. E poi, ci faranno nonne, spero (ride).

Quante sono le famiglie arcobaleno in Italia, in Europa, nel mondo?

È molto difficile rispondere a questa domanda. Posso dire che in Famiglie Arcobaleno ci sono circa 1600 genitori o in procinto di esserlo e diverse centinaia di bambini e ragazzi che hanno genitori omosessuali. Ma sappiamo tutti che è la punta di un iceberg molto più esteso di cui non conosciamo i numeri. A queste nostre famiglie dobbiamo aggiungere per lo meno 200000 persone figlie di persone omosessuali o transessuali. In Europa ci sono tantissime associazioni di genitori omosessuali e transessuali, ogni anno si aggiungono altre associazioni alla rete NELFA alla quale collaboro da quattro anni e quella realtà dell’omogenitorialità si diffonde a macchia d’olio in tutta Europa anche nell’Europa dell’est, fino a pochi anni fa totalmente invisibile. Questa novità della genitorialità omosessuale nel mondo è molto difficile da quantificare. Esiste da decenni negli Stati Uniti, in particolare in California e negli Stati più progressisti, esiste in Canada da tantissimo e anche in Africa del sud e in America del sud, ma avere dei numeri è totalmente impossibile. Comunque la grande novità è che oggi, contrariamente ai secoli scorsi, in cui tanti omosessuali si nascondevano in matrimoni tradizionali, le persone omosessuali rivendicano con orgoglio e serenità il loro desiderio di essere madri e padri.

Cosa pensa della recente sentenza della Cassazione che ha detto no alla trascrizione all’anagrafe dell’atto di filiazione di bambini concepiti all’estero tramite gestazione per altri per i genitori che non hanno alcun rapporto biologico con i minori?

Questa sentenza ovviamente è una notizia poco piacevole però io non ho mai pensato che la nostra battaglia sarebbe andata sempre liscia. È un colpo difficile per i padri omosessuali ma non è certamente un arresto e dobbiamo continuare a batterci. Tanto l’assenza di tutele o di leggi non ci ha mai impedito di dare corpo ai nostri sogni. Secondo me i padri italiani devono appunto recarsi a chiedere giustizia presso le corti europee e sono convinta che riusciremo a spuntarla. Questa sentenza, in fin dei conti, continua a punire dei bambini per le colpe presunte dei genitori. È una sentenza, come dire, poco umanista, una sentenza che si basa sulla presunta tutela delle gestanti senza tener conto del parere delle gestanti stesse, una sentenza poco rispettosa degli individui. E anche poco rispettosa del diritto poiché le corti europee avevano dato già indicazioni chiare sul fatto che bisognava trascrivere gli atti di nascita con due papà proprio per dare cittadinanza e protezione a questi bambini.

Cosa pensa della legge Cirinnà? La mancanza per esempio della chiara espressione dell’obbligo alla fedeltà, istituto invece chiaramente indicato in uno degli articoli della formula matrimoniale civile, e non semplicemente morale bensì vera e propria manifestazione di una tutela, non lascia intendere che si considerino i legami omosessuali più instabili e meno seri e duraturi a prescindere?

Io sono molto grata al lavoro di Monica Cirinnà. So molto bene che a quel tempo questa era il massimo che si potesse ottenere ma ho sempre criticato questa legge per una serie di motivi importanti. La prima ovviamente è che non tiene in considerazione il fatto che delle persone omosessuali in coppia abbiano figli o vogliano figli, e poi perché è una legge discriminatoria nella sua espressione, per esempio questo fatto della fedeltà che in effetti mi ha sempre infastidita. Non sono una moralista e non penso che la fedeltà sia la condizione sine qua non per una vita di coppia riuscita, ma indicare questo elemento in questa legge che riguarda soltanto le persone omosessuali è chiaramente offensivo, dice in modo lampante che le persone omosessuali sono persone, come dire, poco serie, poco impegnate, poco responsabili e poco rispettose nella relazione di coppia, e questo, ovviamente, è molto fastidioso.

Cosa determina la mancanza di una regolamentazione chiara sulla stepchild adoption?

Questa stepchild adoption, di cui tutti quanti parlano come se fosse la panacea ai nostri problemi, è uno strumento, lo voglio ricordare ancora una volta, assolutamente inadeguato a tutelare le nostre famiglie. È uno strumento, oltretutto, discriminatorio. Uno perché non vogliamo adottare i nostri figli, sono già i nostri figli, già dal concepimento, come dice la legge 40 per le coppie etero sterili. E poi perché, appunto, quello che vogliamo è riconoscerli alla nascita, esattamente come fanno le coppie eterosessuali sterili che hanno dei figli grazie all’eterologa esattamente come noi. Loro quando nascono i loro bambini non devono adottare i loro figli! Vanno semplicemente allo stato civile e chiedono che si trascriva la filiazione. Non si capisce per quale motivo noi persone omosessuali dobbiamo appunto adottare dei figli che sono già nostri, nati con le stesse tecniche con le quali sono nati i figli di queste coppie eterosessuali sterili. Esiste perciò una discriminazione assolutamente lampante e inaccettabile. Se perlomeno quell’adozione fosse un’adozione piena potremmo anche concepirla come uno strumento, diciamo, interessante, efficiente, ma purtroppo l’adozione speciale non è speciale perché ti dà qualcosa in più, è speciale perché ci dà molto in meno! Questo tipo di adozione crea dei legami soltanto tra il bambino e l’adulto che adotta, eliminando dal contesto familiare la famiglia dell’adottante, cioè i nonni, i cugini, eccetera. E questo vale anche per la parte patrimoniale. Un figlio adottato con questa adozione speciale non può ereditare dai nonni! E poi, anche se questo strumento è così inadeguato, non è nemmeno facile ottenere il riconoscimento poiché bisogna fare delle cause costose e lunghe e che non danno sempre il risultato sperato. Perciò non è più un nostro obiettivo. Oggi ci stiamo battendo sia perché le lesbiche possano accedere alla procreazione medicalmente assistita in Italia sia perché possano riconoscere i figli alla nascita in modo semplice come già si fa in tantissimi paesi europei, dalla Spagna, al Belgio, al Regno Unito, per citare i primi che mi vengono in mente.

Cosa è cambiato fra Peccato che non avremo mai figli, altro suo libro, e Tutto quello che c’è voluto?

Il primo libro, Peccato che non avremo mai figli, è la narrazione lenta di come il mondo è cambiato tra gli anni ‘80 e la fine degli anni ‘90. Racconta anche come noi siamo cambiate insieme al mondo. È un romanzo di formazione e un romanzo d’amore e di lotta. Dopo 18 anni di rinuncia, siamo pronte a decidere che quei figli sognati in gioventù alla fine li avremmo avuti. Ecco che inizia il secondo libro, Tutto quello che c’è voluto, che è il seguito del primo. Racconta i tre anni tre mesi e tre giorni necessari alla nascita di Lisa Marie, la nostra primogenita, racconta appunto tutto quello che c’è voluto per giungere a questo traguardo. Quando abbiamo deciso di avere dei figli, non avevamo la minima idea di come procedere. Nel 2000 il mondo era cambiato, però, e non dico che fosse pronto ad accogliere le nostre famiglie, ma certamente c’era la possibilità di trovare uno spazio per noi. E noi eravamo pronte a batterci per poter vivere questo desiderio folle che avevamo negato per tantissimo tempo. Il libro inizia il primo gennaio del 2000, e racconta di un viaggio intimo e pubblico fatto di incontri e di confronto con altre donne in viaggio – che formeranno il nocciolo delle fondatrici dell’associazione nazionale Famiglie Arcobaleno. Tratta di filiazione, dei legami di sangue, della responsabilità, della sterilità di coppia, della PMA, della visibilità necessaria per esistere come famiglia; e si fanno i conti col corpo che muta e che soffre, col dolore dell’attesa e del parto, con la speranza che non muore mai. È un libro molto intimo che obbliga gli altri a capire che l’omogenitorialità non è mai un capriccio ma è sempre un difficile e lungo viaggio verso un bellissimo traguardo. Siamo agli inizi del terzo millennio, all’inizio di una rivoluzione vissuta in gran parte da sole, possibile in fine grazie agli incontri fatti: persone, centri esteri, associazioni di genitori stranieri, comunità cosmopolita di Milano. Un libro forte e intimo che parla di come il mondo è cambiato e ha permesso l’inconcepibile. Una storia personale che incontra la Storia e ne fa capire anche i rigurgiti conservatori attuali. Il terzo libro racconterà l’avventura di Famiglie Arcobaleno, e del grande tema della visibilità privata e pubblica. Se oggi le nostre famiglie sono realtà forti e presenti nel contesto sociale, anche se continuano a dare un grande fastidio a qualcuno, è perché alla fine degli anni ‘90 alcune donne hanno sognato e io e Raphaëlle siamo orgogliose di essere state fra quelle e di avere portato pubblicamente le nostre convinzioni con grande sicurezza malgrado le difficoltà che c’erano e che permangono.

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