Si inaugura domani al GLBT History Museum di San Francisco, l’unico museo storico americano esclusivamente gay, la mostra Migrating Archives: LGBT Delegates From Collections Around The World (“Archivi migranti: delegati LGBT da collezioni in giro per il mondo”). Si tratta di una panoramica internazionale su fotografie, documenti e manufatti provenienti dagli archivi di dieci associazioni gay dei cinque continenti e incentrati su uno/due attivisti ciascuno.
C’è anche il nostro Paese che presenta gli archivi di Antonio Frainer e Stefano Casagrande provenienti dal Centro di Documentazione del Cassero di Bologna. Importanti attivisti omosessuali scomparsi prematuramente (Frainer a 35 anni nel 1994, Casagrande otto anni dopo), segnarono la storia e l’evoluzione della comunità lgbt bolognese e italiana. Frainer nacque a Trento nel 1959 e a diciannove anni faceva già parte del movimento gay. Trasferitosi a Bologna nel 1980, divenne presidente del Circolo XXVIII Giugno l’anno successivo, quando fu assegnata la prima sede lgbt italiana di proprietà pubblica, il celebre Cassero di Porta Saragozza. Stefano Casagrande fu invece un animatore della scena culturale gay degli anni ’80-’90 e fu art director del Cassero per tre lustri. Nel 1994 lanciò The Italian Miss Alternative, concorso di bellezza antesignano dei drag queen contests nonché evento benefico di raccolta fondi per la lotta all’Hiv. Nel 2008 è stata deliberata da Sergio Cofferati, allora sindaco di Bologna, l’intitolazione a Casagrande di un giardino pubblico, inaugurato nel maggio 2012.
Il materiale presentato a San Francisco è una versione estesa e arricchita di documenti inediti di quello esposto ad Amsterdam nell’agosto del 2012 in occasione della conferenza mondiale degli archivi, musei e biblioteche lgbt. «Gli archivi di varie nazioni in tutto il mondo hanno inviato il materiale scelto dalle loro collezioni – spiega la curatrice E. G. Crichton -. Le immagini verranno assemblate in grandi pannelli a cui saranno associati alcuni video per creare un ritratto delle organizzazioni partecipanti e delle storie di vita che hanno scelto come rappresentanti. È come se le persone raffigurate fossero esse stesse delegate virtuali nella nostra città e nel nostro tempo. Alcuni personaggi sono famosi, altri sono persone comuni i cui manufatti sono stati trovati o donati dopo la loro morte. Uno o due sono rimasti senza nome, a riprova del fatto che i nomi di molte personalità lgbt sono scomparsi dalla storia».
«Di solito gli archivi stanno fermi sugli scaffali, in attesa del ricercatore occasionale – continua Crichton -. Ma in qualità di artista volevo disporli in una sorta di movimento, come se fossero degli ospiti che spesso attraversano i confini nazionali più facilmente dei singoli individui. I partecipanti hanno avuto fiducia e sono stati generosi: hanno inviato files digitali, CD, testi e anche creato dei video per questa mostra. Anche se gli archivi e le organizzazioni sono differenti, sono rimasta sorpresa da quanto le storie sembrino famigliari. Alcune rappresentano gente famosa oppure no di più di un secolo fa: dalla petizione di Oscar alla corte nel 1896 al documento del 1891 in cui si annota di un individuo condannato per sodomia che “commise suicidio assumendo veleno in una cella immediatamente dopo la sentenza”. Altre storie sono più vicine a noi: Monte Punshon, che ha fatto coming out all’età di 103 anni in Australia; Beverly Ditsie, attivista lesbica in Sud Africa; Sándor/Sarolta Vay che visse come uomo in Ungaria; Stefano Casagrande, che morì di Aids in Italia. Le loro vite sono affascinanti nella loro singolarità e ci portano fuori dal loro mondo locale per creare connessioni immaginative con le comunità queer in altri tempi e spazi».
Le altre nazioni coinvolte sono: Australia, Belgio, Filippine, Inghilterra, Olanda, Scozia, Stati Uniti, Sud Africa e Ungheria. L’esposizione sarà visitabile fino al mese di maggio.
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