Testosterone, dinamismo, essenza virile. L’opera artistica di Jack Balas, pittore e fotografo nato a Chicago a fine anni ’50, trasferitosi poi a Los Angeles e di stanza da anni in Colorado, ruota intorno a questi tre rimandi continui: l’ispirazione palesemente pop declinata in chiave queer l’ha portato a definirsi su Advocate ‘post-gay’ in quanto "la maggior parte dei miei modelli sono etero, ma sanno qual è l’obiettivo e sono a loro agio con esso".
Adoni ginnici, splendidi tori discinti, nudi sfacciati che oltrepassano l’estetica necessariamente castigata del "Beefcake" di metà Novecento – l’occultamento delle parti intime era imprescindibile – si reinventano interagendo con la materia (grafite, pennarello, olio) per darsi allo spettatore con l’ironia cameratesca della rilassatezza da spogliatoio di palestra, con la solarità quieta della complicità da Campus americano, senza le provocazioni stilizzate tipiche di molto nudo maschile contemporaneo (vedi per esempio il bellissimo ultimo video di Madonna in zona Mapplethorpe, l’ultragender Girl Gone Wild).
C’è anche del primo Silombria, valente artista gay ligure un po’ dimenticato, in quei corpi voluttuosi non artefatti e immersi in una tavolozza di colori che ne esaltano sia l’impeto giovanile che l’iconicità da statua rinascimentale senza mai astrarsi, però, da contesti naturali "contaminati" con la vita quotidiana come il mare in tempesta da cui spuntano sagome che ricordano mobili e persino case (il mirabile Sea Change) oppure la palla da rugby che diventa il teschio di Amleto nel commovente In This He Was Not Alone.
Una delle grandi passioni di Balas resta però l’arte del tatuaggio transfigurata in testi letterari sulla pelle dei suoi adorati modelli, racconti del cuscino pulsante alla Greenaway ma anche superficie vulcanico-creatrice evocativa del più quotato scrittore-tatuatore contemporaneo, il magnetico Nicolai Lilin, transnistriano abitante a Bra, nel cuneese, autore del seducente L’educazione siberiana (da cui Salvatores ha tratto il suo ultimo, omonimo film in postproduzione) e dell’acclamato Il respiro del buio (Einaudi).
Ecco quindi sui corpi-libro di Jack Balas i ragazzi in costume che si tengono per mano e corrono verso il futuro con la schiena dipinta in ‘Semper Fi’ oppure i capezzoli parlanti con fumetto che grida: The Main Event nell’omonimo dipinto del 2010, il cui numero d’ordine 502 è tatuato sulla spalla di uno splendido mulatto come una garanzia di "vaccinazione artistica" che ne preserva l’originalità. Ma alla base delle ricerche sui tatuaggi ci sono le opere di Balas contenuti nei notevoli Jackbook, antologie fotografie (il primo è Stud Dust) in cui inizialmente le scritte sono riprodotte su pannelli tenuti in mano dai modelli, poi proiettate con giochi di riflessi e solo successivamente conquistano l’imprinting diretto sull’epidermide (sono esemplari i disegni embrionali di Tattoo Detour, in cui le scritte sovrimpresse sono indicatrici del contenuto espressivo).
Ciò che sorprende in Balas è proprio l’energia espressiva, indomita e diretta, che fa propria l’arte di orbita queer senza farne un vessillo o plagiandone i modelli, ma indicando nella contemplazione dell’aitanza maschile la scintilla divina della bellezza terrena. Senza però cedere al fascino glam e plastico della manipolazione digitale – o cosmetica: altro che mascara maschili o blush velanti! – trappola in cui sempre più spesso cadono molti artisti contemporanei, perdendo così in spontaneità e grazia.
Un artista da scoprire.
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