"Fu l’arte moderna vivente. Un’immagine che ha contaminato e influenzato la cultura londinese e oltre" così Boy George ricordava il suo grande amico Leigh Bowery (1961-1994), artista performer inglese di origine australiana anticipatore del gender ma anche innovativo stilista, musicista, promoter. "Posso diventare un’opera d’arte ogni volta che indosso un mio vestito – diceva di se stesso – e attiro molta più gente di tanti quadri appesi nei musei".
È stata inaugurata ieri sera al Circolo dei Lettori di Torino in via Bogino 9, con uno speciale Aperitivo English Style, la mostra fotografica "Leigh Bowery nelle foto di Fergus Greer e Johnny Rozsa" curata da Luca Beatrice e realizzata grazie alla collaborazione di Carlo Madesani e della Galleria Camera 16 di Milano che qualche mese fa allestì presso la propria sede una mostra analoga.
L’esposizione fa parte dell’articolato programma del Traffic Torino Free Festival, il più grande festival italiano gratuito, anch’esso al via ieri, focalizzato soprattutto sulla scena musicale internazionale: oggi si esibiranno in piazza San Carlo The XX e James Blake, domani sarà invece la volta degli Orbital e del duo inglese Mount Kimbie.
Bowery divenne negli anni ’80 un’icona sbrigativamente definita ‘trasgressiva’ ma il suo interesse poliedrico per ogni forma d’arte lo fece collaborare con geni quali il pittore Lucian Freud di cui divenne uno dei modelli prediletti, il fotografo David LaChapelle, il regista John Maybury, la stilista Vivienne Westwood e l’artista concettuale Cerith Van Evans, diventando per tutti una fonte d’ispirazione più o meno diretta per le proprie creazioni, influenzando di fatto gusti e tendenze di un’intera generazione. I ritratti in mostra sono stati realizzati da due storici collaboratori di Bowery che gli furono vicini fino alla morte per Aids sopraggiunta il 31 dicembre del 1994.
"Conobbi Leigh alla Anthony d’Offay Gallery a Londra nel 1986 – spiega Greer – dove stava mettendo in scena alcune performances. Ero curioso di conoscerlo per proporgli qualche scatto insieme. Quando lo vidi lui rimase piuttosto colpito. Mi disse solo: «Facciamo qualche foto». Trovai una musa, per fortuna volenterosa!".
"Per me era un grande artista – continua Greer – e il suo lavoro ha continuato a stimolarmi ininterrottamente. È difficile definirlo, troppa gente lo incasella in una determinata area della moda o dell’arte. Ci siamo divertiti a collaborare insieme e produrre immagini. Penso che riconoscesse il fatto che tra di noi ci fosse uno scambio di valori inestimabili. Le sessioni fotografiche avevano sempre un guizzo divertente e ironico. Lavorammo insieme per otto anni, fino alla sua morte".
È possibile visitare l’esposizione fino al 13 giugno.
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