Mine Vaganti a teatro, intervista a Francesco Maggi: “Ferzan mi ha cambiato la vita, è come un padre di famiglia”

Film del 2010, Mine Vaganti è sold out a Roma, al teatro Ambra Jovinelli. Ne abbiamo parlato con uno dei suoi protagonisti, Francesco Maggi.

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A 10 anni dall’uscita al cinema, Mine Vaganti di Ferzan Ozpetek è sbarcato a teatro, con la regia dello stesso autore turco, e un sold out capitolino che ha coinvolto l’Ambra Jovinelli.

Da noi già recensito, lo spettacolo vede sul palco Francesco Pannofino, Paola Minaccioni, Arturo Muselli, Giorgio Marchesi, Caterina Vertova, Roberta Astuti, Sarah Falanga, Mimma Lovoi, Luca Pantini, Edoardo Purgatori e Francesco Maggi, che ha preso parte anche a La Dea Fortuna, ultimo film del regista, qui da noi intervistato.

A 10 anni dal boom in sala, Mine Vaganti è sbarcato a teatro con Ferzan Ozpetek alla regia e un sold out all’Ambra Jovinelli di Roma. Nel cast ci sei anche tu, in un ruolo estremamente divertente. Ci puoi raccontare chi è Francesco Maggi, come ti sei avvicinato alla recitazione e quale personaggio interpreti nello spettacolo.

Allora, Francesco Maggi è un ragazzo di enne anni, in sovrappeso ma che sta cercando di ritrovare la propria serenità e linea, conducendo uno stile di vita alimentare regolare e corretto. Il mio approccio alla recitazione è stato una predisposizione naturale. Sono figlio della tv anni ’80, dei grandi varietà, delle sigle, della Carrà, la Parisi, il Bagaglino. Questi varietà sfarzosi. Oltre alle grandi dive di Broadway. Ho studiato all’Accademia nazionale d’arte drammatica Pietro Sharoff, ho studiato per sette anni alla scuola di Franco Miseria, ma principalmente il mio obiettivo era quello di diventare un musical performer, e di specializzarmi anche in coreografia. Diciamo che volevo diventare una sorta di Bob Fosse. Che per carità il paragone è azzardatissimo, ma il mio mito era lui. Gene Kelly, ho anche studiato tip tap per un periodo, oltre a studiare classico e contemporaneo. Ho quattro spettacoli che hanno segnato la mia vita, sia da bimbo che da adolescente e da adulto. Uno è I Sette Re di Roma di Gigi Proietti con la regia di Gigi Magni, poi Il sogno di una notte di mezza estate di Tato Russo, nel lontano 1993; poi Cats, a Londra, avevo 17 anni. Fu un periodo particolare, perché usciva Ray of Light di Madonna, che fu il mio coming out interno. Quello esterno è stato Light Years di Kylie Minogue, ‘na sfrociata. Ma è servito anche quello nel mio percorso. E infine Wicked, sempre a Londra, che ha segnato definitivamente la mia vita. Ho sempre ballato e cantato all’interno della mia stanza, che era il mio palco. Poi con lo studio, con tante masterclass fatte in giro per l’Italia, ho aggiunto nozioni, insegnamenti, che mi sono serviti per arricchirmi. Una delle cose fondamentali che mi hanno insegnato è stata che un attore che canta, un attore che sa danzare, è un qualcosa in più che dà lustro al tuo bagaglio. Mai smettere di studiare, di allenarsi. Detto ciò, il mio ruolo all’interno di Mine Vaganti è Andrea, che è un po’ Francesco. Un ragazzo goffo, impacciato, che intruppa, fa cadere bicchieri, e che deve reprimere l’essenza, ossia quella parte femminile, quella donna che è in lui e che non può uscire, perché continuamente bersagliato, mitragliato, dalle stesse persone che frequenta. Questa natura, quest’anima femminile però si manifesta quando c’è il drag show, dove esplode in tutta la sua femminilità, la sua presenza, tutto il suo entusiasmo, tutto il suo essere. Un ruolo molto interessante, che può sembrare estremamente semplice, ma che così non è. Posso assicurare. Io e Edoardo Purgatori siamo un po’ le Mine Vaganti esterne. Nello spettacolo c’è la Mina Vagante interna, ovvero la nonna, ma ci siamo anche noi, che portiamo scompiglio soprattutto nel secondo atto. Siamo come colori secondari che si fondono con quelli primari, dando vita ad una sorta di balletto sincopato. Mentre nella versione cinematografica gli amici di Roma sono il colore aggiunto, qui vengono risaltati maggiormente. È stata una bella idea sia da parte di Ferzan che di Gianni dare quel piccolo spazio in più che nel film non era stato tanto risaltato.


Prima di Mine Vaganti hai preso parte anche a La Dea Fortuna, ultimo film di Ferzan Ozpetek. Quali sono le principali differenze tra un set cinematografico e un palco teatrale. Quali difficoltà può incontrare, un attore, sia nell’uno che nell’altro caso.

In un set cinematografico hai l’opportunità di ripetere più volte, fino a quando non arrivi al risultato che il regista vuole ottenere. A teatro non dico cotto e mangiata, ma è quel preciso momento, devi ricreare tutte le sere quella magia, l’atmosfera, l’intenzione, e non devi pensare, devi agire. Teatro azione. Ho sperimentato sulla mia pelle quante volte si possa girare una scena, fino a quando al regista non sembra perfetta. E la differenza abissale con la cristillazione cinematografica e la verità teatrale. Questo non vuol dire che cinema e teatro non siano veri, si cerca sempre la verità, sono la trasposizione della realtà. A meno che tu non stia facendo film o spettacoli fantasy.

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Chiunque reciti in un film di Ferzan Ozpetek sottolinea sempre l’unicità di un set che si tramuta quasi in ‘famiglia’. È un qualcosa che hai riscontrato anche tu, si crea davvero questa indissolubile alchimia che prosegue poi nel tempo?

Il clima sul set era goliardico. Un clima di festa, si rideva sempre. C’era una serenità speciale, ognuno era a servizio della scena che si stava per girare e del film. Tutti a servizio di Ferzan e del film, una fratellanza, una sorellanza particolare. Non c’erano invidie, gelosie, un clima bellissimo. Sembro Pamela Prati, non so come spiegarlo ma era veramente una festa di primavera, avendo girato a maggio. Ho avuto altre esperienze cinematografiche, come comparsa, ma questa cosa è arrivata in un momento della mia vita in cui non ci credevo più. A teatro è stato diverso nel lavoro, ci sono differenze. Da quel clima di festa, goliardico, a teatro si passa al maggior rigore. C’è professionalità sia sul set cinematografico che a teatro, ma qui c’è un po’ più di disciplina. C’è anche sul set, ma in quel caso c’era un’aria diversa. Ferzan ha questo grande dono, creare la famiglia. Siamo tutti parte di una famiglia, sia cinematograficamente che teatrealmente parlando. Lo stare sempre tutti insieme, l’essere sempre l’uno accanto all’altro. Ci sono stati anche periodi non facili, io ho perso mio papà nel mese di dicembre e quando abbiamo ripreso l’allestimento ho sentito l’abbraccio di una vera famiglia. Francesco Pannofino quando mi ha rivisto mi ha rassicurato, “tu non ti devi preoccupare, ora sei in famiglia”. Ferzan stesso, tutti, tutti indistentamente tutti.

Ma a Ferzan Ozpetek, come sei arrivato.

Devo ringraziare due persone, principalmente. La Berta Bertè e Massimo, direttore casting di facce da cinema. La Berta perché a fine aprile mi disse che stavano cercando comparse per il nuovo film di Ferzan. Ho mandato le mie foto che sono arrivate sul tavolo di Massimo, che si è dibattuto tanto per me. L’idea di una drag nella scena del matrimonio forse balenava anche nella testa di Ozpetek. La mia conferma è arrivata venerdì 17 maggio. Il 17 mi accomuna a Ferzan. Martedì 17 dicembre c’è stata l’anteprima stampa del film. E venerdì 17 gennaio la prima nazionale di Mine Vaganti. Il 17 ci lega. Una volta arrivato sul set de La Dea Fortuna, molto presto, pazzesca, con le scarpe da ginnastica. “Ferzan è arrivata la drag”. Ci vediamo per la prima volta, mi chiede un’improvvisazione. E io, “Artù ma ‘ndo cazzo sta, hai rotto er cazzo co sto telefono”. Stop, urla Ferzan. “Perfetta, ora tu vieni con me”. Mi prende e comincia a farmi fare mille cose. Alla sera, finito di girare, mi dice di andare dalla Produzione per firmare il contratto per 5 pose come Generico Speciale. Praticamente ha inserito in corsa all’ultimo il mio personaggio, cambiando qualcosa della sceneggiatura del film, scritta insieme a Gianni Romoli e  a Silvia Ranfagni.  Non lo so, l’ho conquistato così. Non ci eravamo mai visti prima. Il mio sogno, sin da Le Fate Ignoranti, era quello di lavorare con lui. È arrivato tardi, forse, ma nel momento giusto. Non ringrazierò mai Ferzan per tutto quel che mi ha regalato e che continua a regalarmi, ancora oggi. Sul set Ferzan mi ha dato disponibilità, piena libertà anche nelle improvvisazioni, ma a teatro è stata un’altra cosa. Ha tolto orpelli, maschere, ha tolto 16 anni di Morgana, il mio alter-ego drag, per ridarmi Francesco. Mi ha denudato, spogliato, mi ha riappropriato della mia pelle, della mia anima. Erano 10 anni che non lavoravo in borghese a teatro, gliene sarò eternamente grato. Perché è bellissimo aver ritrovato Francesco.

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Aneddoti particolari sul set de La Dea Fortuna?

Durante la scena del picnic, io dico a Stefano Accorsi che ci riprende “basta con questo telefonino, sul nome di RuPaul ti denuncio per diffamazione”. Ferzan, durante una pausa, non è convinto e mi dice di dire il nome di Divine. E io gli dico “ma adesso come adesso chi non conosce RuPaul”. Edoardo Leo, timidamente, confessa di non conoscerla. Allora ho preso il telefono, gli ho fatto vedere alcuni video, e lui, “ammazza, è imponente, se vede che c’è roba sotto!”. Pazzesco. A me spiace tantissimo che Edoardo non sia stato candidato ai David, perché è vero. Nel cinema devi ricreare la verità, dare la sensazione allo spettatore di riconoscimento in ciò che si racconta. A fine film tu ci credi, che Stefano ed Edoardo siano una coppia di 15 anni annoiata nella vita, e che in un determinato momento arriva quello scossone che li riunisce.

Dovendo fare una personale Top3 dei migliori film di Ozpetek, quali titoli citeresti e perché.

Al terzo posto Cuore Sacro, al secondo posto Mine Vaganti con ex-aequo La Dea Fortuna, e al primo posto Le Fate Ignoranti. È parte della mia vita, del mio cuore, se chiudo gli occhi ci rivedo la mia vita, il mio mondo, la comunità, gli amici, la famiglia, che non deve per forza di cose essere quella naturale.

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Se ne La Dea Fortuna indossi gli abiti di una drag, a te ampiamente conosciuti, in Mine Vaganti reciti quasi sempre in abiti maschili. In quali ti trovi meglio, su un palco.

Mi trovo bene in tutti e due. Ora non farei distinzione. Non ti nascondo che dopo questo spettacolo voglio riprendere a studiare. Perché non si finisce mai. Voglio continuare a recitare da Francesco, in borghese, perché è bellissimo.

Pensi che riusciremo mai in Italia a concepire il drag show come pura forma d’arte, e non come il solito (e offensivo) ritrovo di “uomini vestiti da donna”?

Scordiamoci del fatto che in Italia ci potrà mai essere un RuPaul’s Drag Race. Nel mio piccolo il mio talent per drag, Queen Factory diretto da Roberto Saura, fatto soprattutto a teatro, mi ha dato grandi soddisfazioni. Perché è il teatro, la casa delle drag, per quanto siano state sdoganate nei club, nelle discoteche. Poi finché ci sarà una svalutazione, una svendita del drag show, non si potrà crescere. In America funziona perché è business, bisogna entrare in quel concetto. Essere professionali, preparate. Se anche noi iniziamo a capire che bisogna dare la giusta valutazione per il lavoro che si fa, perché non è mettersi una parrucca e un tacco a fa il playback, non si andrà mai da nessuna parte. La bellezza di questo mestiere è il mettersi sempre in discussione. Bisogna entrare nell’ottica che questo lavoro può e deve essere un business. L’hanno capito in America, Australia, Inghilterra, ma anche in Spagna. Noi purtroppo abbiamo ancora una concezione diversa, dove il drag show non è ancora business, con poca preparazione.

Finita l’esperienza romana all’Ambra Jovinelli, come e dove proseguirà il tour teatrale di Mine Vaganti?

Dopo Roma la tournèe proseguirà a Salerno, a Fano. In teoria andremo in Veneto, se tutto rientrerà con il diffondersi del Coronavirus. Poi concluderemo a Firenze.

Mine Vaganti a teatro, intervista a Francesco Maggi: "Ferzan mi ha cambiato la vita, è come un padre di famiglia" - mine vaganti 1 - Gay.it

Ma per quale motivo uno spettatore cinematografico che ha già visto Mine Vaganti in sala, dovrebbe venire a rivederlo anche a teatro.

Perché ci sono diverse cose inedite, aggiunte, colori e sfumature nel film accennate e a teatro più chiare e nitide. Perché ci si diverte tanto, si pensa, ci si commuove, lasciare andare alla malinconia. Il finale, come nel film, è un ballo meraviglioso che prende anche il pubblico. È uno spettacolo che può essere visto come commedia, tragicommedia, favola, un musical sotto certi aspetti. È la vita. Un qualcosa che può capitare a qualsiasi spettatore. È da vedere anche a teatro perché stiamo facendo una gloriosa rivoluzione, abbattendo i muri della diversità. Nel nostro piccolo l’unica arma che abbiamo è l’arte. La bellezza salverà il mondo.

La Dea Fortuna, Mine Vaganti. Non c’è due senza tre, dice il vecchio saggio. Ti rivedremo insieme a Ferzan anche in futuro? Lo stai lavorando ai fianchi?

Non voglio parlare. Quel che posso dire, ripetendomi, è che Ferzan mi ha restituito Francesco. Sono la sua spina nel fianco, mi piacerebbe essere per lui quello che è stata Divine per John Waters. Una fonte d’ispirazione. Magari un attore feticcio, la sua Rossy De Palma per Almodovar. Lo spero, non nascondo che non mi dispiacerebbe continuare a lavorare con lui. Chi può dirlo, è arrivato tutto così improvvisamente, in un momento difficile della mia vita. Per me Ferzan è un papà. Questo spettacolo mi ha riempito il cuore di orgoglio, ma è stato anche terapia, vita, nutrimento, appagamento. Ho lavorato con dei colleghi fantastici, tutti, Edoardo è un fratello, Paola e Francesco sono i miei coach. Poi Arturo Muselli, Giorgio Marchesi, Caterina Vertova, Roberta Astuti, Sarah Falanga, Mimma Lovoi, Luca Pantini, sono tutti essenziali, pazzeschi. Questo spettacolo è pazzesco, come Ferzan. Non so se lavoreremo di nuovo insieme, per ora devo fare bene questo spettacolo. E poi, si vedrà. Da grande vorrei diventare come un Billy Porter, un Harvey Fierstein.  Essere quel perfomer, intrattenitore, e voce potente per la comunità, di esempio per i ragazzi che hanno paura, che combattono all’interno della propria famiglia. Essere un sogno, un modello, dare supporto, aiuto. Questi sono i personaggi che un domani mi piacerebbe diventare. La sfida sarebbe interpretare cose che sono l’opposto di me.

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