Orlando a sangue freddo

Domande a me stessa e su come polarizzare le reazioni sia deleterio

vaticanshadow
vaticanshadow
4 min. di lettura

Di quel che è succeso a Orlando stiamo tutti cercando la quadra, ammesso che una quadra ci sia.

Non sappiamo ancora quali siano le motivazioni. Non sappiamo quale sia il peso di ogni forza in gioco, e le forze sono tante.
L’unica cosa che sono riuscito a ottenere nello sgomento e nel dolore sono domande che mi sento di condividere. E la forza che abbiamo in quanto laici ed occidentali è secondo me il coraggio di porci domande su tutto, di non ingoiare la minestra dell’ideologia, l’elogio del dubbio.
Siamo la prima generazione nativa senza -ismi, una gran rottura di palle ma anche un’opportunità unica.

Sono state fatte considerazioni nel merito che possiamo ritenere indiscutibili.
La diffusione e facilità con cui negli Stati Uniti si possono detenere armi da fuoco. E a giudicare dalle statistiche anche usarle.
È un problema enorme e non risolvibile se non nel lungo periodo. Un problema che lega percezione della sicurezza, della difesa personale, diritti costituzionali di 200 anni fa, una montagna di denaro e lobby che possono influire pesantemente sulla politica interna della prima potenza mondiale.
Se dopo l’11 settembre a tutti noi è stato vietato di salire in aereo con una mezza di minerale, anche dopo l’ennesima strage ad opera di persone armate contro cittadini inermi tutto quel che si è riusciti a fare è stato limitare virtualmente l’accesso alle armi d’assalto.
L’accesso alle armi negli Stati Uniti è una causa di questa strage? Secondo me sì.
È la sola? Secondo me no.
Secondo il padre, Omar Mateen non era un terrorista ma solo un omofobo.
In quale sistema di valori vive una persona che fa un’affermazione del genere?
Qual è il retroscena culturale che permette al padre di un ragazzo cha ha ucciso 49 persone e ne ha ferite più di 50 di pensare che dichiarare come causa l’omofobia sia meno grave che dichiarare il terrorismo islamico?

Non il vostro e non il mio.
Eppure nemmeno quello di un terrorista islamico, che avrebbe piuttosto rivendicato con orgoglio il gesto del figlio.
Forse è quello di un uomo con pochi strumenti che analizza il mondo attraverso gli occhi di una propaganda di destra che semplifica tensioni sociali delegando la parte di antagonista a un Grande Male fiabesco?

Omar Mateen era un omofobo? Sicuramente, perché ha scelto di attaccare precisamente un luogo di ritrovo proprio della comunità LGBT.
Era un terrorista? Sì cazzo che era un terrorista, se non è un terrorista uno che entra in un club e amazza tutti allora chi lo è?
Era mandato direttamente dall’IS oppure era un ‘lupo solitario’? Fino a che punto è possibile stabilirlo?

Pare avesse millantato di aderire allo Stato Islamico ma l’FBI aveva considerato la cosa frutto di un mitomane.
Eppure evidentemente la strage e lo Stato Islamico non sono due narrazioni completamente estranee.

La forza mediatica e il valore simbolico che abbiamo attribuito all’Isis come pars destruens del mondo occidentale non può in una mente disturbata funzionare come propaganda?

Era un pazzo? Un gay represso? Le due cose insieme? La vittima di un background omofobo e maschilista che invece che uccidersi ha dato di matto e ha fatto quel che ha fatto?
Nel caso in cui fosse una persona con una seria patologia, l’approccio occidentale alla cura e alla prevenzione dei danni nei confronti della malattia mentale o della depressione è adatto o va ripensato?
Il 24 marzo 2015 Andreas Lubitz, dopo essere stato sospeso dall’addestramento come copilota per undici mesi a causa di una grave depressione con tendenze suicide e successivamente reintegrato perché considerato completamente guarito ha dirottato il volo Germanwings 9525 facendolo schiantare sulle alpi con a bordo 150 persone.

Non si trattava di terrorismo islamico. Si trattava però comunque di terrorismo? Penso di sì.

Se lo Stato Islamico ha oggi la forza mediatica di organizzare affiliazioni dolci attraverso il web e di arruolare guerriglieri per corrispondenza, pescando menti permeabili agli -ismi di una propaganda dai toni splatter-melo-drammatici, mi pare che assecondare questa imago mortis ci ponga necessariamente in svantaggio.
Più diamo potere all’immagine del Grande Male archetipico e più di riflesso noi diventiamo piccoli e inermi.

In quanto occidentali e laici non dovremmo usare la forza del dubbio per frantumare quell’immagine e vedere il bluff?
Perché se non siamo convinti si tratti di un bluff che senso avrebbe combattere?
Se non siamo fieri del nostro eterno dubbio che ci stiamo a fare da questa parte?

In quanto trans e lesbiche e gay e bisex, è il volume assordante di quello che è successo a sconvolgerci.
Ma il modulo è lo stesso di qualunque aggressione o di qualunque offesa capiti ogni giorno anche a noi, anche qui.
Ascrivere il massacro di Orlando a un Grande Male altro è una negazione rassicurante ma sbagliata.
Dobbiamo riconoscerci nelle vittime, non perché anche a noi potrebbe capitare che un pazzo entri in un club mentre stiamo amando e godendo e ballando, ma perché ogni volta che qualcuno vuole limitare il nostro amarci e godere e ballare, quel qualcuno è un terrorista.

Se crediamo in quello che siamo e siamo fieri di quello che siamo e della cultura che ci portiamo dentro, questo non possiamo permetterlo. A nessuno.

rainbowbears
TANTO AMORE A TUTTI QUELLI CHE CI ODIANO!

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