PUBBLICITÀ VIETATA

Una mostra sui binari della stazione Centrale di Milano presenta 40 anni di pubblicità censurate. Un modo per capire l'Italia che cambia e che non cambia (specie nei suoi tabù sessuali).

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Le vie per capire la società sono infinite. Una di queste prende i binari di una ferrovia e si ferma in stazione Centrale, a Milano, fino al 26 novembre. È una mostra organizzata dallo Iap, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria per festeggiare i suoi primi quarant’anni: una carrellata di pubblicità censurate nel corso della sua storia. Un’iniziativa intelligente, in replica a marzo alla stazione Termini di Roma, che coinvolge milanesi, pendolari e turisti, mostrando la pubblicità da una prospettiva ragionata.

Annunci e spot rappresentano il motore economico dei media, la pubblicità è una sorta di magma ubiquo che si modella e si infila ovunque trovi uno spiraglio per farsi notare. Lo fa il più delle volte senza che noi la chiamiamo. Senza il nostro consenso. Lei c’è. Punto. A noi non resta che rifiutarla, come fanno i più radicali, o guardarla, affilando il nostro sguardo per capire lo spirito dei tempi. Perché di una cosa si può star sicuri: non c’è miglior fotogramma del nostro vivere, della pubblicità. Perdere un treno, allora, può rivelarsi anche piacevolmente istruttivo.

Lo Iap si rende visibile con un paradosso, riversandoci una selezione di annunci che negli ultimi quarant’anni ha reso, per il “bene” di noi spettatori, invisibili. L’istituto rende di fatto omaggio a se stesso ma anche alle pubblicità censurate, passandole dallo stato di semplici annunci commerciali a rappresentazioni da museo.

A rimestare nella mostra dell’immondizia pubblicitaria e a guardar bene quel tripudio di seni, glutei, genitali maschili e doppi sensi, qualcosa di acuto, pungente e creativo lo si trova. A volte sembra quasi tornare in auge quel Vance Packard che negli anni ’50 insisteva sul ruolo di persuasori occulti dei pubblicitari e che in qualunque annuncio ti trovava un pene o una vagina mascherati.

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Un esempio? Primo piano strettissimo, una mano stringe i jeans, proprio lì. Lo slogan dice: Il vostro pacco è in buone mani. L’azienda è la Monava Trasporti Internazionali e ha sede in provincia di Varese. «Viene rappresentata la volgarità di un gesto, sottolineata da una frase anch’essa scurrile», dicono “le ragioni del no”.

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Si gioca sulla sessualità maschile anche con i bauletti da scooter Nonfango: un giovanotto contempla il didietro di un motorino e ne rimane a tal punto innamorato da presentarsi con una vistosa erezione. Il processo dello Iap è riassunto per ogni pubblicità dalle tre tavole “Le ragioni del sì”, “Le ragioni del no”, “Le ragioni del Giurì”. Tesi, antitesi, sintesi. Nel caso dei bauletti, lo Iap si fa sentire: «L’espressione figurativa non è giustificabile, perché volgare e supera un limite che a tutt’oggi è avvertito come doveroso dal sentire comune». Comune a chi?

Non c’è niente da fare, il pene è ancora tabù…

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Non c’è niente da fare, il pene è ancora tabù. Lo dimostra anche la censura del 1998 a Diesel, dove due anziani vestono jeans, seduti su un divano. Lui ronfa, con la bocca aperta, appoggiando la testa al bastone. Lei cerca di risvegliare il volatile che dorme, allungando una mano con l’espressione maliziosa. Le ragioni del no dicono che il «gesto della donna è palesemente volgare ed indecente e l’immagine offende le convinzioni morali e civili dei cittadini, in particolare di quelli più anziani che appaiono ridicolizzati». A nulla vale l’appello all’ironia dei creativi. Il Giurì boccia l’immagine come «lesiva della dignità e della sessualità degli anziani che vengono rappresentati ‘vecchi’ con tutti i segni del decadimento. L’idea della vita e dei rapporti fra anziani, e soprattutto della loro sessualità, ne esce con un’impronta di squallore e sgradevolezza». Alé!

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Se parliamo di palpatine censurati, perché non ricordare la chiassata che si fece l’anno scorso con la pubblicità di Oliviero Toscani per Ra-Re? Due uomini, palesemente gay, ammiccavano, si toccavano, si baciavano. Per l’ennesima volta il fotografo riuscì a far parlare di sé (e del prodotto), come nel caso dei Jeans Jesus del ’74 con la frase di Cristo Chi mi ama mi segua scritta su un sedere femminile avvolto da shorts aderenti. O come nella lunga serie di pubblicità shock di Benetton a inizio anni ’90, di cui è riportata nella mostra quella con il bacio fra un prete e una suora. Si sa, quando c’è di mezzo Toscani, la polemica spunta sempre fuori. L’aspetto comico della bagarre su Ra-Re fu che Toscani si scagliò come sempre sulle censure bacchettone. Ma anziché far sponda sui gay, ammettendo che dopo aver infranto qualunque tabù era ormai il turno dell’omosessualità, se la prese con gli stessi gay, rei di aver equivocato: «Non siamo maniaci. Io non sono omosessuale – rispose Toscani al giornalista Stefano Bolognini – e ho giocato tante volte con i miei compagni di scuola così. Allora perché deve essere omosessuale? Subito si etichetta, e anche voi omosessuali avete questo vizio. Non è perché siete omosessuali che avete ragione». L’intervista prese poi una piega a metà fra la candid camera e l’attacco omofobo: «Il mondo della moda è in mano agli omosessuali. È proprio degli omosessuali il problema di dimostrare di essere tali. Sono gli omosessuali che hanno un complesso e hanno problemi a dirlo in famiglia. Sono gli omosessuali i primi ad avere il problema dell’omosessualità». Vabbè.

Non tutte le pubblicità della mostra sono però censurate. È il caso dell’immagine gaia del profumo Diego Dalla Palma del 1988. L’atmosfera cita Vogue di Madonna: una diva circondata da maschi ben vestiti e ammiccanti, più fra di loro che verso di lei. Il Giurì questa volta dà il semaforo verde.

Seguendo il labirinto di pannelli e manifesti si possono visitare sei sezioni. La più gustosa è quella con le pubblicità volgarotte, “Il corpo dei desideri”. Una scorpacciata di slogan e foto boccaccesche che nei paesi anglosassoni sarebbero passate con più facilità. La seconda sezione va a pescare nell’anima più profonda e radicata del commercio: l’occhio del padrone ingrassa il cavallo. Piccole truffe, giustamente censurate ma meno scoppiettanti per una mostra. Per la terza sezione dovete avere stomaci forti: corpi sfregiati, bruciati, immagini di omicidi. “Colpire l’occhio” è lo scopo di questo gruppo di annunci. Di cattivo gusto. “La cintura di sicurezza” è il nome della quarta sezione dove sul banco degli imputati salgono quelle pubblicità che associano stili di vita pericolosi come il bere all’essere trendy: una donna scrive su un muro, col rossetto, «Io godo» mentre una bottiglia aperta lascia scorrere whiskey Glen Grant a profusione; il vino Castellino crea una finta rassegna stampa di articoli che ne decantano lo stile vincente… Nella sezione “I bambini ci guardano” i protagonisti sono pargoletti che preferiscono la Nutella agli spinaci, che si spiano fra le mutandine o che si divertono sprofondati su una montagna di palline rosse mentre i genitori sono rassicurati da Ikea: «Portate i bambini all’Ikea. Ce li teniamo tra le palle noi». Da ultimo non poteva mancare “Scherza coi fanti…”, ma lascia stare i santi. Il sedere di Toscani, il prete e la suora che si baciano, lo scioglilingua di Saatchi&Saatchi con Dio sostituito da Bio. Una sezione che fagocita qualunque espressione non faccia piacere al Vaticano. Le ultime polemiche sulla satira di Fiorello e Crozza insegnano.

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di Matteo Bandini

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